cura e introduzione di Francesco Terracciano
Le sette poesie brevi, in distici elegiaci ritmici, faranno parte di un’opera che Daniele Ventre sta ultimando, intitolata Volubilis.
Volubilis era la città più occidentale tra gli insediamenti del Nord Africa, e si trovava al confine della Mauretania, al termine delle vie carovaniere antiche che attraversavano il Sahel verso il Mediterraneo; abbandonata a sé stessa in età tetrarchica e sopravvissuta alcuni secoli alla caduta dell’Impero romano d’Occidente, è attualmente il sito archeologico romano più importante e meglio conservato del Marocco, situato ai piedi del monte Zerhoun, a ottanta chilometri dalla catena montuosa dell’Atlante.
La prima, la terzultima e la penultima poesia sono in distici elegiaci regolari (esametro + pentametro), mentre la seconda, la quarta e la penultima hanno alla fine un esametro senza pentametro che lo segua; la terza poesia è in distici rovesciati (pentametro + esametro).
Fra le poesie di distici regolari, la terzultima è in distici ecoici: l’hemiepes iniziale dell’esametro è ripetuto identico nell’hemiepes finale del pentametro.
Le strutture metriche (tardoantiche) così definite sono organiche al messaggio che si intende trasmettere: si tratta di una resa dei metri greco-latini inventata da Ventre, la stessa che ha usato nei circa 50.000 esametri delle traduzioni di Omero, Esiodo, Apollonio Rodio, Arato, Virgilio.
Tra le colline in deserto convolvoli. Dopo il rifugio la siccità. Da un Olimpo un sussurrio manderà i dilettanti a raccolta di fiori. È materia passata oltre ogni limite. Il tempo ha macerato il plissé e la parola. Città di rovine. Un Orfeo ritratto nell’incantare serpenti. Il mosaicista non è di qualità. Non si intende di tessere. Si decompone l’audience in mezzo alle fiere e si depositano selve in cortei per leoni di serie inchiodati allo stampo. Non un artista à la page. Ombre scompaginano gli echi dei crolli. Rimangono i fiori. È maceria passata alla natura. Ai futuri arduo il non senso di sé. * Passano i re. Ci è passato il tetrarca. Passa la peste. Torna. Va via. L’acquedotto anche passava quaggiù. Abbandonarono il gioco. Dal limite passano. Troppi passano il limite. Passa anche la festa. Non ho più da invitare nessuno. Nessuno è venuto al confine. Ci si riavvolge il passato. Orde precipitano dalla misura del tempo. Sconfinano. L’ordine cede alla ragione. Oltre il caos si sopravvive, al di qua. Non ce ne sono, leoni. Li tengono chiusi nel circo. * Hanno ceduto il confine. Ora incrociamo tribù di carovane in deserto. Non erano barbari. In fine si sopravvive al momento. È la volubilità della fortuna. Il destino comune. È la svolta del giorno. Siamo passati al di là. Qui non si celebrano feste da circo, né glorie di porfido. Resta l’olivo. * Qui non c’è stato un Arminio. I villaggi dormono al giorno. Quelli che arrivano qui, passano fra le tribù: parlano: qui si contratta. Il confine arretra da solo. Abbandonato per sé. Uomini navigano mare di sabbia che è nostro. Alla sponda il limite sfuma: qui non si perde legione e non si calcolano rischi. Non c’è da incantare i villaggi. Abbiamo i serpenti. * Ombre ci limitano. Si degrada a tempo la storia. Lungo il confine dai monti ombre ci limitano. Echi ci arrivano qui dalle altrui fortune. A distanza onde di crolli attutite. Echi ci arrivano qui, termini di novità. Sotto il sole tutto è presente in permanenza. Non ho termini di novità che ti sollecitino l’esistenza immobile al giorno. Qui non ho più fantasie che ti sollecitino il desiderio. Non è l’età. Nell’inerzia dei giorni al decadere dall’ombra il desiderio non è. * Certo che il mondo era pieno di simboli. C'erano note. Aquile. Squilli di tromba. Ora il silenzio quaggiù oltre confine è la prima risorsa. Anche l'arco è più basso. Sopravvissute al trionfo ombre si fanno realtà corpi. Alla pace non serve retorica. Basta il deserto. * Prima del limite c’erano dune. Oleandri. Era l’ombra, l’oasi. Venne il confine e geometria lo segnò. Carsica l’acqua persiste volubile. Scorre in abisso dalle clessidre alle sabbie e non la limitano mura e detrito. Decade il limite. L’ombra permane. L’oasi. Da geometrie ombre ci liberano.