cura e introduzione di Michele Piramide e Stefano Tarquini
da Read(y) in onda per Radio Kaos Italy
Esordiamo in questa ultima tappa della nostra rubrica scegliendo di non partire con dei nostri versi. Scelta consapevole e in qualche modo frutto della nostra ultima conversazione poetica con l’amica e fine poetessa Ilaria Palomba: la ricerca del Vuoto come scopo ultimo della ricerca del verso. Allora facciamo tabula rasa e ci apriamo alle contaminazioni dei nostri contributi esterni, affidandoci ai versi altrui per il proseguo del nostro viaggio.
Giovanna Cinieri, giovane poetessa dal verso non convenzionale e in procinto di esordire nel mondo dell’editoria poetica.
La volontà di rottura rispetto al panorama poetico contemporaneo emerge con forza nella rincorsa spasmodica delle parole che cadono una sull’altra in una corsa volutamente circolare e senza meta. Il celarsi in un ricordo sopito, che scardina il verso dalla sua confort zone, lascia il lettore attonito ed affamato al contempo.
Non ho visto ma ricordo il portafoglio che tenevi per bellezza il modo del ritratto di uno specchio di perseverare e come era vivo tuo padre di bestie marcite, varie ma nei campi asciutti ogni sangue è servo: ai santi sfama solo l’inverno e dei mostri che la notte eri loro non li hai visti ma ricordi la caviglia nascosta e poi ancora indietro Il lettino disfatto e tu in piedi che tuo padre è tornato, te l’ho detto? era il punto conciliato fra due cervi o una piega di sonno chiamata tumulto, tua massima pena scompare chi è ancora, solo non so cosa tu possa farci a ritrovarlo. io saprei, ma se è per me non appare.
Antonio Bux, autore tanto prolifico quanto ambizioso dal punto di vista letterario, occupa sicuramente un ruolo singolare all’interno del panorama poetico odierno in Italia.
Il suo verso rompe i fili del burattinaio, il tempo quotidiano inerte ed inerme. La sua lirica come espediente di ricerca linguistica che porta il poeta a sovvertire i confini della scrittura, flirtando con le parole quasi in una danza onirica e sostanziale al tempo stesso.
Ho immaginato di avere una casa e il fiore della casa e una donna con accanto un mestiere solo per me e nel bacio la morte del frutto e il colore saporito dell’erba, la mia fronte cresciuta per lei e ancora e ancora senza mai fine, l’aria fidanzarsi negli sguardi e ossidarsi un pensiero sarà vero, sarà vero… Ma l’occhio è cresciuto per poco, è tornato bambino cristallo si è rotto il mio occhio immaginario immaginandosi troppo ma non c’è più nessuno che piange per me nessuno a cui tendere la mano… Sarà vero, sarà sogno più vero svegliarsi e guardare nel vuoto se il vuoto è lo sguardo? Ho immaginato di avere qualcosa da guardare, una mano cresciuta sul cuore una mano più grande pensare per me, la mia vita veramente stretta nel pugno; ma ho immaginato lo stesso, qualcuno con me a immaginare, più niente se niente è reale, se io vivo di questo per te che non sai immaginarmi.
Andrea Zandomeneghi, scrive sul Foglio e ha diretto la rivista Crapula Club. Il giorno della nutria è il suo primo romanzo.
Sicuramente l’avanguardismo guida la penna del poeta; il foglio diviene palcoscenico del cruento confronto tra la prosa ed il verso e l’estasi di tarantiniana memoria in cui ci immergiamo ne rappresenta la sublimazione e l’estrema sintesi. Una ricerca che appare evidente e che ci lascia in attesa di giungere con l’autore su le inesplorate lande del divenire.
Addio, addio, poveri umani, omuncoli grondanti umori incatenati nella caverna dei sensi, addio, addio, intelligenze terrestri e terrene schiave delle vostre pulsioni e della vostra materia, gli uomini mai mi riuscì di capire, perché si combinassero attraverso l’amore, affidando ad un gioco la gioia e il dolore, addio primavera che non bussa ma entra sicura perché come fumo lei penetra in ogni fessura, addio labbra di carne, addio capelli di grano, che ora bruciate, addio cazzo che mi sei sempre stato nemico, assaggia le tenaglie, eccomi mamma, dalla luce di luce non possiamo più uscire.
Lorenzo Pataro, giovanissimo poeta e fresco candidato al premio Strega Poesia con il suo “Amuleti” per Ensemble Editore.
Si coglie chiara ed evidente la controversa sensibilità del giovane poeta, la sua penna lascia un evidente solco nello sguardo del suo lettore, segna un’orma sul cammino in cui è nostro sodale. Il suo verso ha le forme del giovane virgulto pronto a riaccendere la linfa l’immortale Dea.
I rovi tra la neve troveranno un’altra luce un bastone di pastore a scavare gli anemoni e le bacche marce nella terra a furia di urlare il mio nome si scheggia la tua voce o si affila come la punta di ghiaccio che pende sottile dalla casa diroccata – allora tu dammi un altro luogo in cui inselvatichirmi, una pelle di ghiro mentre dorme nel rifugio fra le travi del pagliaio chiamami col verso dei falchi o delle volpi donami le orme del lupo, gli occhi dei piccoli che cercano la madre e la sua bocca feroce quando afferra il nuovo nato dalle zampe e il sangue che sgorga si fa pietra nel gelo, ossidiana – rovescio del bianco nel bianco.