a cura di Francesco Terracciano
I sonetti di Foscolo li ho scritti io.
Virgilio mi ha copiato le georgiche.
Octavio Paz ha fatto il copia-incolla
con i files di un mio libro.
Sto rimettendo a posto poesie in portoghese
lasciate in un baule. Ne suggerisco una
col titolo lunghissimo alla bella Qingzhao
ambientata in un canto (raccomando
di tradurre “gerani” con “gerani”,
non come l’altra volta che mi ha piantato “ortensie”
mettendo il verso un po’ fuori stagione).
Ho un volo prenotato per Duino.
Mi devo ricordare di spedire
al dr. Eucalyptos, New Have,
le incisioni che Avella e Sgambati
fanno al fischio del merlo che apre aurore boreali.
Non ho fissa dimora ma ho molti indirizzi.
Sosto assai spesso a Napoli,
in Vico del Pero, c/o Ranieri,
e ho un codice fiscale: LPRGCM98H29H211C.
Puzzo, ho la scabbia, divoro sorbetti
e di notte pretendo i maccheroni.
Non sono folle. Folle è chi si crede
Napoleone. Io sono tutti gli uomini.
*
La mano che manovra la mia mano
ha centomila pollici. La mano
ha il mondo in pugno. Se apro la mano
il bosco - ecco - perde le sue foglie.
È la mano che afferra al volo l’ah!
di meraviglia e che ogni mattina
fa il primo gesto: mi aggiusta i capelli
per rimettere in ordine i pensieri.
È una mano che in tutte le maniere
mi dà una mano, fa ombre cinesi
quando mi prende la malinconia.
Più veloce dell’occhio, questa mano
fa giochi di prestigio con le carte,
mi soffia le parole come un ladro,
ma se impone la mano sulla spalla
fa il miracolo: divento loquace.
Questa mano ammanetta la mia ombra,
misura palmo a palmo i miei maneggi
ma è una mano che subito si stanca
quando disegna nodi sulla sabbia.
*
La pietra dell’arrotino. la trovai accanto a un termine.
Stava lì, come nota a piè pagina
del liber fulguralis che andavo immaginando.
Stava. Inerte. In attesa. O sospesa.
In un lampo ascoltai l’universo
produrre una frizione attorno all’orlo
di questa pietra (un po’ stanca, usurata).
La rubai, come un ladro. Ritornai
(forse un senso di colpa od un sospetto)
al luogo del mio furto. Claudicando
un vecchio la cercava (si appoggiava
allo scettro del viandante).
Mi sorrise, sicuro e dubbioso.
Si avvolse nel mantello di un verdetto
(ricordai il misantropo di Breughel)
lasciando un malumore fra le zolle.
L’ho messa qui, zavorra e fermacarte
sulla mia scrivania. Qui potrà riposare.
A volte fa scintille, mola il sonno.
È una pietra che va per il sottile.
Il re degli arrotini mi ha ceduto il mestiere:
manovrare (lui col ginocchio, io col gomito)
un marchingegno molto elementare,
modificare il taglio con l’attrito
*
Il semaforo. Deve passare il treno.
Ho l’auto in sosta ed il motore spento.
Siamo fermi da ormai mezz’ora buona.
Guardo in alto, per caso: una figura
sta affacciata al balcone come in posa
da santo bizantino. Disturbata,
quasi colta in flagrante, abbassa le persiane.
Dio potrebbe essere quel signore nel bar
che inzucchera il caffè. Nevica gesso.
Il treno non si vede. Incontri sempre
un passaggio a livello se in agenda
hai appuntamenti urgenti. È molto tardi.
Uno scende dall’auto, un po’ convulso.
Parla col casellante: vuole alzare le sbarre.
Niente da fare (c’è il regolamento.
incuria e colpa. Chi è responsabile.
La fila è troppo lunga. Siamo in curva.
Se passa lei come faccio con gli altri).
Sei costretto al contatto con te,
a mangiarti le unghie (ormai sei giunto
al mignolo e già quella del pollice
è cresciuta, incarnata) ad aspettarti
lungo un binario morto e senza scambio.
Laggiù, sul cartello stradale, c’è scritto
«ATTENZIONE - BAMBINI»
con due piccole ombre
- in mano una cartella misteriosa -
in un quadrato rosso, fuggitive
*
a Marcello Gigante
La villa dei papiri e dei misteri
e tu col pugno pieno di sementi,
chicchi di melograno raccolti su un altare.
Chino sopra papiri sussurravi
integrando frammenti, i sottovoce
di Filodemo, maestro del nostro Lucrezio.
Erano testi in greco elegantissimo,
manufatti di scribi amorosi ed esperti.
Stabilivi i clinamina del testo
sottraendo alla cenere parole.
Come arcano Melquiades deducesti la vita
è una porta socchiusa su una porta
{davanti i lari officiano
come bambini sulla spiaggia
con le conchiglie della nostalgia}
vivi nell’ombra <esortano> così
non lascerai un’ombra
il più grande dolore è [non] aver [dolore]
soffia il tuo fiato oscuro accenderai
il fuoco che si spegne nei rotoli del fuoco.
Che venga dunque l’ [in]aspettato
come l’ospite a lungo aspettato,
come il vento fa battere la porta
che pensavamo chiusa.
Il buio intinge i pennini
e tu insegnaci ora le tue lettere mute,
o maestro,
spiegaci perché il melograno
- quello lì, oltre i vetri della fine -
custodisce il mistero di un fischio in mezzo ai rami
dove il merlo volò tra <mille> anni.
Mimmo Grasso è poeta e saggista. Edita versi a tiratura limitata in tandem con artisti visivi
oppure:
sono stato filosofo, utopista,
assessore, poeta, ambientalista,
tammurraro, cantore, pianista,
tipografo, velista, apneista,
gigolò, archivista, ballista,
doppiogiochista, buddista, esorcista,
archeologo, psicologo, saggista.
non in quest’ordine ma questa è la lista.
diciamo pure: fui un opportunista:
l’essere l’ho trattato da grossista,
lui per me stato avaro ed egoista
e tutta la mia vita fu una svista.
mi sono arribattato, di me altruista.