Davide Susanetti | La notte dell’eremita

a cura di Giovanna Frene
incipit da La notte dell’eremita (Edizioni Volatili a cura di Giorgiomaria Cornelio, collana Isole e Isole, 2023)
mappa di Giuditta Chiaraluce


SPOSTAMENTI

Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole

n. 67


Avanza nella tenebra l’Eremita. Perché tenebra è sempre, ed esilio, lontananza e altrove perduto, anche nel calore dei raggi diurni, anche in ciò che è prossimo e si crede. Anche là dove si afferra quanto pare consistere e pur sfugge senza che la presa si sappia allentata e perdente. Anche là dove qualcosa attira e avvince, e ha forse ragione di avvincere, se non fosse che la si vuole usare e far propria. Avanza l’Eremita, o forse è immobile, stante in un passo che deve farsi, e si è in ogni caso compiuto. Ma per lui moto e stasi cadono insieme, poiché non suoi devono essere i passi, se mai ci saranno. Lui è già andato da sempre, e sempre va, fermo nel suo punto e mai costretto da quanto non voglia. Ammesso che il volere per lui possa darsi come per tutti e non sia ciò che, essendo suo, lo trapassa di un’infinita necessità. Libero di una libertà che non ha nome né forma, una libertà che i mortali non vorrebbero, se pur la conoscessero, nell’oscurità dell’abitare. Unico, forse, a sapere del buio, e per questo sereno di una vicinanza più prossima, di un altrove che è qui, nell’altra piega dell’oscurità. Come il mantello che lo avvolge, germano, da fuori, alla luce non luce dello spazio e del tempo, ma foderato di azzurra chiarità. Blu del cielo, vergine profondità in cui tutto appare e si nasconde, azzurro intenso che si apre nella clausura del proprio segreto, conforto lieve di una bianchezza che emerge dalla tenebra e circolando vi affonda, di nuovo, come un fiore che si fa nostalgia. 


Avanza l’Eremita con il suo bastone che sfiora il suolo. Tocca la terra, come una mano che si accerti di ciò che è più duro e resiste. Immobile come lui, e pur vivo in un uguale silenzio. Sempre stringe il bastone nella mano sinistra, ma non perché vi si sorregga nel buio. A che gli servirebbe per una strada tante volte percorsa? Uguale nella sua differenza, mano a mano che la spirale si svolge? O è un cerchio dove l’andare e il venire sono il medesimo, e non v’è rischio di perdersi, se, un giorno, si è scorto quanto cerchio significa? Tiene quel bastone con sé solo per ricordo, mentre è qui sulla strada che sembra condurre a qualche meta nella linea piana e distesa dell’orizzonte. Sette intagli solcano il legno duro e secco, ignaro dell’acqua che filtra e imputridisce, ma memore dei pianeti lontani, scandito dalle note diverse di una musica che è firmamento e età della vita nel dispiegarsi delle arti di cui il mortale divino è capace. Lo stringe a rammentarsi che una cosa non mai è solo una, serrata nell’involucro che la distingue e la isola. A rammentarsi che lui stesso è, e vive, insieme ai setti intagli, su cui i suoi occhi trascorrono, moltiplicando le dimensioni. Lo stringe sapendo che il limite solo sembra, e il confine non chiude ciò che sta o ciò che si muove nel proprio. Sono intagli o forse nodi come accade nelle fibre del legno, nodi di una rete, senza inizio, senza fine, anche se nel buio unicamente il singolo si scorge e la trama dilegua. Gli è caro il bastone perché è il suo serpente domato e guizzante, come una fiamma nascosta. Serpente che, nel deserto di roccia, pur vive, fidando nel filone dell’oro nascosto e nella fiamma che la pietra può generare. Avido di nutrirsi di pepite e brillanti per diventare, mutando, transito che unisce, se e quando unire le terre e le genti ancora è necessario. Nodoso bastone, il serpente non spaura, ma il suo sibilo, comunque, non tace, udito dalla sinistra che serenamente lo impugna. 


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