Carl Sternheim | Poesie

a cura di Giovanna Frene
introduzione di Raoul Precht

Cinque poesie di Carl Sternheim inedite in italiano, con testo tedesco a fronte, curate e introdotte per Inverso – Giornale di poesia da Raoul Precht, che qui molto ringraziamo.


SPOSTAMENTI #90
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole


Carl Sternheim (1878-1942) è stato il massimo drammaturgo tedesco degli anni Dieci del secolo scorso. Il suo teatro, volto a épater le bourgeois ma soprattutto a mettere in ridicolo gli usi e costumi della borghesia dell’era guglielmina, ha rappresentato per molto tempo, con la sua forza satirica, un punto di riferimento per i drammaturghi più giovani, da Carl Zuckmayer a Bertolt Brecht. Fra i massimi esponenti dell’espressionismo – sebbene caratterizzato, con il suo stile telegrafico, da una spiccata individualità –, Sternheim ha saputo coniugare una critica sociale a volte anche aspra con un raffinato umorismo, mettendo alla berlina le pretese moralizzatrici e la morale edificante della società che lo circondava. 

Autore anche di una fortunata serie di racconti nonché di un romanzo e di un volume di memorie scritto nel 1936, quando l’avvento del nazismo l’aveva già indotto a rifugiarsi a Bruxelles, Sternheim ha coltivato la poesia solo durante la prima fase della sua produzione, fino al 1904. Evidenti sono le influenze sul suo dettato poetico della lirica maggiore del suo tempo, quella di Stefan George, Richard Dehmel e Hugo von Hofmannsthal. Il componimento che chiude la nostra selezione è con ogni probabilità anche l’ultimo da lui scritto prima di dedicarsi quasi esclusivamente alla narrativa e al teatro. Le sue poesie, mai tradotte in italiano, si riducono a una sola raccolta, Fanale!, edita nel 1901, a cui si aggiungono numerosi inediti. Sono riunite nei volumi 7 e 9 delle opere complete (Gesamtwerk) pubblicate dall’editore berlinese Luchterhand.


Gnadenreiche

Willst du der Richter meines Lebens sein?
Der Abend hüllte dich in süβes Glüh’n,
Durch unsern Garten ging ein stilles Blüh’n
In Hollerbüsche und Jasmin.
Das Haupt, das blondumsponnen du gesonnt
Im groβen roten sich zutode flammen
Des Goldlichtballes, hobst du hoch.

Ward einer einst gekreuzigt doch,
Und duldend wollt die Mörder er verdammen
Und hat es nicht gekonnt.
In unserm Garten kam ein wildes Blüh’n
Aus Hollerbüschen und Jasmin.
Umgoldet standen wir in süβem Glüh’n.

Piena di grazia

Vuoi esser giudice della mia vita?
T’avvolgeva la sera incandescente,
In giardino fioritura silente
Sia di sambuco, sia di gelsomino.
Il capo levasti, d’oro trapunto
Di contro alla rossa sfera primeva,
Dorata luce che fiammeggia a morte.
Un dì fu messo in croce per sua sorte,
E gli assassini maledir voleva,
Ma sopportando mai arrivò a quel punto.
Fioriva in giardino selvaggiamente
Tanto il sambuco quanto il gelsomino.
Noi, d’oro, nella sera incandescente.

Einer, die mit am Tische saβ

Von dir bewahr ich nur ein kurzes Angedenken,
Wir kannten uns verhastende Minuten,
Von dir zu mir war es ein groβes Schenken,
Ein unerhörtes, mächtiges Zusammenbluten.
Die um uns höhnten sich in hungrigen Disputen,
Wir lieβen unsere hellen Feuer brennen
Und legten sanft die Hände in die Gluten,
Man konnte uns verträumte Griechengötter nennen.
Du sagtest da ein Wort, das Wörtchen: Leben
Und sagtest es mit tiefem, dunkeln, Beben;
Es klang, als spräche um uns einer von den Guten:
Ein unerhörtes, christenhaftes sich verbluten.

A una commensale alla nostra tavola

Di te non resta che breve memoria,
Un rapido istante da ricordare,
Ma da te un dono ha avuto la mia storia,
L’inaudito, comune sanguinare.
Era tutto un reciproco beffare
Intorno a noi. Fra ceneri le mani,
Chiari fuochi lasciavamo bruciare,
Noi, come dèi greci, incantati e immani.
Tu dicesti una parolina: Vita.
Con grave tremito l’hai profferita.
Parve che fosse la bontà a parlare:
Inaudito, cristiano sanguinare.

Vorabend

Vorabend war’s, der lange bang geahnte.
Wir muβten unsre letzten Gänge machen
Und schritten so in lieben sich verlieren.
Wir konnten einer noch den andern spüren,
Die Sonne gab ein letztes leises Lachen,
Das sich durch dunkle Zweige zu uns bahnte.
Dann standen wir an irgend einem Orte,
Und lehnten uns an Starkes, uns zu halten;
Wir wuβten um den Abschied keine Worte.
Und hatten nur ein groβes Händefalten.

Vigilia

Era la vigilia che a lungo brami;
Toccò compiere un’ultima sortita,
Ci inoltrammo in un perderci amoroso.
Sentir potemmo, benché silenzioso,
Dare il sole in un’ultima risata
Che ci raggiunse per oscuri rami.
Da qualche parte fummo, e ci accostammo
A un che di forte per restare sani.
Parole d’addio, però, non trovammo,
Potemmo solo giungere le mani.

Das Leben

Ich weiβ schon, wie das Leben ist.
In trüben Fernen glänzt ein Licht,
An das man glaubt,
Zu dem man will,
Aber man erreicht es nicht.
Ich weiβ schon, wie das Leben ist.
Heiβe, schmeichelnde, züngelnde Flammen,
Die an uns lecken,
Die um uns schrein.
In ihnen brechen wir zusammen.

La vita

Lo so bene, com’è la vita.
Oscura e distante una luce brilla,
A cui si crede,
Dove andar si vorrebbe, 
Ma mai se ne raggiunge la scintilla.
Lo so bene, com’è la vita.
Lusinghiere fiamme guizzanti
Che calde ci lambiscono
Che intorno a noi schiamazzano.
E in esse roviniamo ansanti.

Flucht

Der Herbst lieβ nicht ein einzig’ Blatt
mehr an den Bäumen; unsre Bank,
die übersponnen war vom Laube,
steht auf dem Hügel frei und blank.
Ich glaub‘, wir können nun nicht länger
dort bleiben und hinuntersehn
ins bunte Thal; wir müssen tiefer,
tief in die dunklen Wälder gehn.

Fuga

L’autunno non lasciò una sola foglia
sugli alberi; ma la nostra panchina
in passato ricoperta di fronde
sta immune e splendente sulla collina.

Più non possiamo, credo, rimanere
per così tanto tempo ad osservare
la vivida valle; molto più in là,
in buie foreste ci tocca andare.

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