Lorenzo Granillo – Inediti

Metropoli

Non sappiamo più sillabare
l’Oltre che non vediamo —
abbiamo foreste di lucori
scheletrici
nei pianti conficcati in terra
e quell’infanzia sconsacrata
tra i fiori divorati dalla luce
veste il nostro nome: nessuno
vede il suicidio retorico
cui ci condanniamo all’aurora
quando i ricordi si assiepano
intorno al giorno
e noi spodestiamo il Dolore
per atteggiarci a sovrani
e illuderci di poter arginare
le rivolte ad Amore — dov’è?
Nel tuo pube: metropoli.

*

Non mi appartengo

Non mi appartengo mai nelle serate
ammorbate dal tempo, né nei giorni
prostrati al sole: non so mai chi sono
quando fermentano i ricordi e i canti
reclusi in gola.
Io non so parlare.
L’isolamento è frigido di voce:
ripudio i versi divelti dall’utero
l’alfabeto sgozzato della carne
e ciò che non sono stato.
Straniero
nel riso divulgato all’universo
nel grembo genuflesso alla catàbasi
nei silenzi ingolfati di vertigini
nelle perifrasi contratte.
Solo
tra le sterpi dell’Io scopro chi sono:
un ventre solitario che si svende
per mendicare Amore e una preghiera
al Dolore per fingere chiusura.

*

Non so parlare

Intono i latrati del Falso:
non so parlare
degli arti di una quercia
ingoiati dalle vertebre della terra
né dei terreni addolciti dai fiori —
il mio canto
è un inverno levigato dal sangue.

Il cielo
incastrato tra i denti
inietta cori di vertigini nelle vene
e l’arte sproloquia
dei versi indigesti al mondo:
il conforto dimora nelle viscere
appestate di guerra lirica.

La poesia è un Dio fatiscente
rinchiuso in una chiesa barocca
e il mio marciare
è litania di passi rauchi
che arrancano fino all’oblio:
non ho più le forze
per masticare preghiere.

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