a cura di Ilaria Grasso
fotografia di Dino Ignani
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Nadia Agustoni scrive poesie e saggi e tra un verso e una riflessione lavora in fabbrica come operaia a Bergamo dove è nata. Nelle sue raccolte scandaglia i temi del lavoro e delle mutazioni dei paesaggi in seguito all’industrializzazione feroce. Denuncia costantemente le condizioni degli operai nel contesto lombardo, quello che abita e quello in cui opera. Oggi ho estratto quattro “lasse” poetiche da Necrologi (La Camera Verde, 2019) che Agustoni, in una recente intervista condotta da Alessandra Pigliaru sul quotidiano Il Manifesto ha definito “il vero libro sulla fabbrica, mischiando varie esperienze”. È questa una raccolta fortemente che è stata fortemente voluta da Renata Morresi e sostenuta da Maria Grazia Calandrone che pubblicò i primi Necrologi sulla rivista Poesia invitando Agustoni a scriverne degli altri. Inizialmente, trovo nella Note della raccolta, la poeta sceglie di parlare al maschile perché inizialmente le poesie dovevano apparire con pseudonimo ma i componimenti, sempre nella Nota, “sono parte viva della mia vita. Nulla è inventato. Ho mischiato luoghi, ambienti e circostanze. Tutto è reale e nulla e nessuno è riconoscibile”.
I temi spaziano dagli abusi di potere, al nonnismo alla misogina diffusa e tossica, il senso di alienazione del lavoro di fabbrica, il senso di sopraffazione e quell’aria da Far West che si respira in certi momenti della giornata lavorativa. Il tema della sicurezza permane come mortifera e consolidata tradizione nella letteratura del lavoro e nelle fabbriche. Disgraziatamente permane anche il razzismo che si mescola al maschilismo più bieco Ma la cosa che mi ha più colpito e alla quale non avevo fatto mai caso è l’utilizzo del dialetto per escludere e perpetrare i meccanismi da branco che nei luoghi di lavoro purtroppo continuano ad avere la meglio. Quelle che state per leggere sono parole che rimandano a situazioni dure ma che necessitano di essere ascoltate e vanno ascoltante ancora di più se il lettore è un intellettuale perché come la stessa Agustoni dice nell’intervista “Oramai gli intellettuali, con poche eccezioni, da decenni non si avvicinano più agli operai, quindi non sanno più cosa sia questo mondo”. E io concordo in senso ancora più ampio non potendo non notare quanto sia scarsa la presenza di intellettuali, scrittori e poeti nei cortei del lavoro. O non potendo non notare che gli stessi intellettuali, alcuni, non tutti, fanno di tutto per mantenersi e scrivere perché sono pochi quelli a qui si danno soldi per scrivere. Ho scelto queste quattro “lasse” (le chiamo così perché ricordano quelle di Vogliamo tutto di Nanni Balestrini) perché lo sento necessario. Non uso quasi mai questa parola in poesia ma nel caso di Nadia Agustoni faccio ben volentieri un’eccezione.
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da Come il male fatto contro un nidi
1 e
la ragazza dà una risposta secca. dovrà pulire i gabinetti. i gabinetti sono punizione. il capo non vuole le tipe toste. troppo diretta la ragazza. a casa ha qualcuno da aiutare coi suoi soldi. gli sforzi qui dentro le hanno spaccato le ossa. prende secchio e spazzoloni, gli stracci e il bidone del disinfettante. butta acqua con la canna di gomma. inonda dappertutto. le turche sono sporche. si respira odore di piscio. nel cesso degli uomini è sempre. la fanno pulire e ridono. ridono e si toccano le palle. ridono con gli occhi più di tutto. vuol dire che non sei uguale a loro. vuol dire ti pagano meno e lavori di più. non hai tra le gambe i coglioni. la guardo dalla linea e avvio l’ingranaggio, sta là con cuore di ferro, il cuore forte che non si perdona a nessuno. non si perdona il cuore, non gli occhi, non come li guardi. così è una ragazza umiliata nei giorni. le darebbero una botta i capi. le darebbero uno stupro giù nel prato. a spingere forte contro la rete. fanno segno con la bocca, con le mani. alle macchine riusciamo a capire ogni volta. si muovono perché lei deve tremare, ma rimane alta la testa. capisce di pulire e non dire niente. stare con un silenzio di acqua. il lontano di chi muore. una tenerissima morte. Appesa alle cose di tutti. alle nostre cose.
da L’alba è coniglio
5
alcuni siamo italiani. gli altri non si sa sempre tutto. il pakistano non parla. si volta da un’altra parte. le ragazze berciano. alcune coi diplomi. lavorano qui contando di andarsene. una da 9 anni. veterana in tuta blu. i suoi capelli biondi. Ci guardiamo. deboli per vivere. passa fino all’orlo della voce. passa e non si ferma.
da Non sa una parola cattiva
5
una donna del Ghana una volta andava troppo a pisciare era incinta. lo dissero ai capi di metterla seduta, più leggera. più tranquilla. il giorno dopo non c’era più. i contratti sono solo carta. gente va e viene in poche ore. li assumono per fare le sotto bestie.
da Era come guardarci come due frontiere
2
l’amore è la parola che diventi matto. non l’hanno picchiata né un rimprovero. però lo sai… una ragazza o si sposa o è inutile che nasca anche se non lo dicono lo devi capire.
3
allora si muore tanto.