a cura di Ilaria Grasso
fotografia di Dino Ignani
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Giovanna Marmo è originaria di Napoli. È poeta, performer e artista visiva. La visione, l’occhio, l’attenzione ai particolari e alle scenografie sono la materia di cui è composta la sua poesia. Ho selezionato una sua poesia dalla raccolta Oltre i titoli di coda (nino aragno editore) perché mi è parsa particolarmente significativa. Già dal titolo della raccolta posso definire con certezza che si tratta di un poetare “cinematografico”. Gli oggetti parlano attraverso i versi e, leggendo ad alta voce, ho davvero la sensazione di essere seduta su una poltrona di un cinematografo a “vedere” un qualcosa che Giovanna Marmo nomina poesia dopo poesia. L’occhio è l’organo attraverso il quale l’io lirico si esprime. Cosa ci fa vedere? I versi non rappresentano gli oggetti solo per come siamo convenzionalmente abituati a nominare. Va oltre e in un altrove che è al contempo dentro e fuori la nostra mente. L’occhio è un senso democratico. Vede e si fa vedere. Possiamo dare uno sguardo e al contempo riceverlo. È, forse il senso, che maggiormente incarna la comunicazione. Una comunicazione che però non è priva di ombre e di inganni o di sensazioni fugaci o meglio impalpabili perché le immagini non si possono toccare con le dita ma al cinema definiamo alcune scene “toccanti”. E le scene non sono altro che un susseguirsi di immagini che con le loro piccole mani invisibili prendono qualcosa nella nostra mente e agganciano il cuore, strozzano la gola fino a far uscire lacrime dagli occhi. I sensi hanno la loro fisiologia ma tra cervello e mente c’è differenza.
Ecco spesso le immagini ingannano attraverso evocazioni o suggestioni che sono nel nostro inconscio che è certamente parte della mente e non del cervello. Spesso usiamo con disinvoltura i termini “vedere” e “guardare”. Sono due azioni molto differenti. A volte piacevoli, a volte dolorose. Grazie a questa poesia, Giovanna Marmo compie la difficile operazione di renderci consapevoli di questo meccanismo. E ci riesce benissimo.
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Occhio che non
Occhio che non
riesci a conoscere
la natura delle cose:
in qualunque luogo
tuo compito è vedere
luce e ombra,
ombra e luce.
Ma se sia o meno
la medesima ombra,
e se l’ombra mia che era qui
si trasporti laggiù, deve saperlo
l’intelligenza della ragione.
Non ti do colpa, occhio,
di questo difetto della mente.