a cura di Alessia D’Errigo
I
L’universo puzzerà di letti non rifatti,
di sudici giacigli di sudore,
di guanciali tanfi di muffa;
l’infermità serpeggerà nei corpi
e Kafka risorgerà nelle ripulse
di tutte l’anime stroncate;
ma presto… spaccheranno i petti, i cuori:
i movimenti dei sangui
alieni d’artifici a muovere la vita.
Intanto…
un volto solitario
si solleva dal cuscino,
una donna vaga per un casa vuota
senza più padroni,
lontani: tutte le cose, tutti i bottini
[allusione d’amore così delicata],
s’incava nel cuore
il ripostiglio segreto
avvolto d’un velo nubiloso;
benché le sia detto di non uscire dal cerchio:
il riflesso di ciò che non è
è stato salvato.
Nessuno le ruberà la vuota bottiglia d’inchiostro.
II
È che le cose fuori al mondo
non lasciavano darsi forma,
sempre occultate
dagli occhi in me rivolti;
le bocche, scempi di fame,
rivestite dal lungo gambo
dell’iride di rose rosse…
Fino a che i gatti – sfrenatamente
a miagolare: vieni qui! a vedere…
perché non tramonta la luna,
perché i fiori si mutano in sterri e sassi.
Allora scorsi i carnefici preparare i feretri
ai poeti,
agli angeli:
«Taci, terra, avrai le tue ossa».
III
Il nero si fa così impenetrabile,
si ha paura di sbattervi contro…
I suoni d’apocalisse, sentirli negli orecchi:
la collera degli oppressi,
il rancore corale dei cuori-macigno.
Chi dispose le folle di schiavi?
Chi condusse l’uomo contro Dio?
[Ho visto rannicchiata sulla sedia
una donna, batteva i denti,
così sbiancata in volto, pareva
non avere più verde negli occhi.]
Restituire al Tutto
ciò che solo il tutto sopporta.
Poter vedere i volti di coloro
a cui un Dio non chiuse i cuori;
ché non si tolga ai superstiti
l’ultima possibilità di salvezza…