a cura di Giovanna Frene
da Motherland Fatherland Homelandsexuals (Penguin, 2014)
traduzioni di Alessandro Jacopo Brusa
fotografia di Thomas Slack
SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole
Alessandro Jacopo Brusa traduce qui uno dei suoi poeti preferiti, la statunitense Patricia Lockwood (Fort Wayne, Indiana, 1982), scrittrice, poeta e saggista, finalista quest’anno al Booker Prize con il romanzo no one is talking about this (Penguin); questa traduzione inedita è tratta dal volume di poesie Motherland Fatherland Homelandsexual (Penguin 2014), che l’ha posta all’attenzione della critica statunitense. Il contesto di queste poesie è quello di una riflessione critica e dissacrante sui ruoli privati e sociali del genere, e sulle possibilità di sabotare lo stato delle cose specialmente nella loro quotidianità, anche attraverso la loro ri-nominazione paradossale, dispositivo stilistico che si mescola a tratti concreti della realtà per mettere in luce la stralunata violenza di ogni origine. Brusa offre qui di seguito alcuni spunti di riflessione sul lavoro poetico di Lockwood e sulle difficoltà della traduzione dei suoi testi: “Si è detto che Patricia Lockwood parli per i mostri, per i weirdos, per i freaks, ma la verità è più semplice ed è che Patricia Lockwood è nata per entrare in sintonia con tutto ciò che per la società è apparentemente strano, ma che in realtà è il nostro vero volto (anzi no, il nostro vero essere fatto di volto, corpo, istinto) privato delle maschere. Tradurre Patricia non è facile come potrebbe apparire e le difficoltà sono dove sembrano meno evidenti. Innanzitutto, perché non sai mai dove un suo testo ti possa portare: bisogna restare costantemente attenti a non sintonizzarsi troppo su quello che succederà nei suoi testi (pena rovinare l’elemento sorpresa), ma rimanere ancorati su ogni singolo verso e rendere quello per quello che è in quel momento. È quello che accade nel primo dei due testi, ma anche nel secondo, dove l’autrice stessa dichiara di essere quasi stata sopraffatta dalla realtà ed essere finita altrove rispetto al punto dal quale era partita. L’inaspettato è ciò che c’è alla fine del verso ed è questa la magia di Patricia. Rimanendo su questioni più “tecniche”, se l’uso di neologismi può apparentemente sembrare la parte più difficile nel tradurre la Lockwood, è forse la sottile ironia sognata che permea tutto il testo la cosa più complessa da rendere in un’altra lingua e per un’altra cultura. I neologismi possono essere difficili o facili, possono chiuderci nella loro costruzione come possono anche darci una libertà altrettanto grande, come quella che mi sono presa scegliendo patriagenitale/matriagenitale al posto di patriasessuale/matriasessuale. Diverso è invece il discorso dell’ironia dove il gap culturale con la lingua di approdo si carica di ben altre sfumature più difficili da controllare dell’oggetto linguistico in sé.”
Il Tuo Paese è un Lui o una Lei nella Tua Bocca
Il mio è un uomo credo, amo gli uomini, mi chiamano
una patriagenitale, tutte le matriegenitali
sono state mandate via, e non ce ne sono mai state
qui alle origini, così ci dicono. Io stessa
non ho mai visto una montagna, io stessa non ho
mai visto una valle, in particolare non la mia,
ho timore della gente che ci vive,
che mangia falchi e zizzania dal mio bacino.
Oh no, ho quattordici anni, sono entrata nella
camera della mia matria, il suo corpo
indistinguibile da patria
che la sta “amando” da dietro, così vicini che
i loro confini coincidono, ad eccezione di una
notevole Area di patria. Io vengo attratta
dai lividi tramonti di matria, allungo
le mie dita per riscaldarle, la gente nella mia
valle sta cacciando falchi come impazzita, io non riesco
più a distinguere le terre: aria salata al largo
delle coste di entrambi, così densa – dov’è una buona boccata
di pre-tornado del Midwest? Il tornado che è sopra di me
ha risucchiato una Mucca, dice matria,
il tornado sopra di lui ha risucchiato un Toro,
dice indicando patria. Ma la mucca
è chiaramente una sola mucca, ruminante un solo
boccone di terra, facendo così delle loro terre una sola,
e “Io odio sti paese!” urlo io, e
i loro occhi brillano di pioggia e nebbia, perché
alla fine sto usando l’accento della mia terra,
alla fine sono terragenitale e non mi allontanerò
mai da loro, ci saranno un giorno anche
due di voi dicono, ma io mi sto imbarcando
già e mi allontano dalle loro coste come un Supertraghetto
pieno come un uovo di cittadini, tutti a dire ciao
e addio, e alla notte la mia gente va di sotto
ad ingozzarsi con bei pezzi di falco,
il piatto tradizionale della nuova galleggiante terra del cuore.
Is Your Country a He or a She in Your Mouth
Is Your Country a He Or a She in Your Mouth
Mine is a man I think, I love men, they call me
a fatherlandsexual, all the motherlandsexuals
have been sailed away, and there were never
any here in the first place, they tell us. Myself
I have never seen a mountain, myself I have
never seen a valley, especially not my own,
I am afraid of the people who live there,
who eat hawk and wild rice from my pelvic
bone. Oh no, I am fourteen, I have walked
into my motherland’s bedroom, her body
is indistinguishable from the fatherland
who is ‘loving her’ from behind, so close
their borders match up, except for a notable
Area belonging to the fatherland. I am drawn
to the motherland’s lurid sunsets, I am reaching
my fingers to warm them, the people in my
valley are scooping hawk like crazy, I can no
longer tell which country is which, salt air off
both their coasts, so gross, where is a good nice gulp
of Midwestern pre-tornado? The tornado above me
has sucked up a Cow, the motherland declares,
the tornado above him has sucked up a Bull,
she says pointing to the fatherland. But the cow
is clearly a single cow, chewing a single cud
of country, chewing their countries into one,
and ‘I hate these country!’ I scream, and
their eyes shine with rain and fog, because
at last I am using the accent of the homeland,
at last I am a homelandsexual and I will never
go away from them, there will one day be two
of you too they say, but I am boarding myself
already, I recede from their coasts like a Superferry
packed stem to stern with citizens, all waving hellos
and goodbyes, and at night all my people go below
and gorge themselves with hunks of hawk,
the traditional dish of the new floating heartland.
Elenco di Soldati Travestiti
Prima di tutti fu Elena di Sparta, che lo faceva solo
con l’olio, nessuno sa come; poi ci fu
Maggie d’Inghilterra, che anche sul campo di battaglia
rimetteva gli uomini in riga; e poi ci fu Rose
del più profondo Sud, che si alzò, i vestiti di suo padre
addosso, e poi uscì di casa e da sé.
Le donne travestite erano sempre tra loro.
Volevano così tanto vestirsi di azzurro, così tanto
vestire di rosso, volevano confondersi
con gli alberi o con il terreno. Insieme
agli uomini furono allontanate dai loro pronomi.
Anche le loro facce vennero cancellate, liberate così
dai loro corpi. “Non ho mai avuto bambole, ho solo
avuto soldatini. Ho giocato al soldato nell’istante stesso
in cui venni al mondo. Ho abbassato la mia voce quasi
a toccare terra, ho indossato bendaggi dove non
ne avevo bisogno, sono stata infine scoperta dal dottore,
sono stata scoperta alla fine.”
Qualcuno, con grande attenzione e riguardo ha pensato
a come confondere mio fratello nella sabbia. Tornò,
smosso egli stesso come una duna,
grande il doppio di me lui, quell’orrore si accese
sempre più in profondità nella famiglia, si nascose dentro se stesso,
cadde, e precipitò, era uguale
a chiunque altro, era arrabbiato e vero, era da un’altra-
parte.
Mio fratello allungò la mano verso di me e disse,
“Loro non dovrebbero stare là. Le donne non dovrebbero
stare là.” Disse, “Ho visto gente morire bruciata.
Morire bruciata davanti a me.”
Una settimana più tardi il suo amico dai capelli rossi si uccise.
Ed anche il suo nome era quello di un ragazzo. Andrew.
Un amico gli scrive, “I colori del mio vestito cambiano sotto
strisce di sangue.” È un bellissimo verso,
che non posso fare a meno di sentire. “Baci” scrive ad un amico.
Il suo amico gli risponde “Abbracci”. Femminucce,
femminucce. Si scrivono l’un l’altro. “Mi manchi,
fratello”. Femminucce, femminucce. Passavano
le ore a farsi il solletico. Si facevano crescere i baffi
assieme. Sdilinquendosi per i randagi del luogo,
che banda di femminucce.
Non ho mandato nulla a mio fratello nel deserto perché
ero occupata a scrivere poesie. Scegliendo di volta in volta
dove il respiro deve stare, perché resti
e non se ne vada. Questa avrebbe dovuto essere una poesia
sulla liberazione dal corpo. Questa avrebbe dovuto essere
una poesia su qualcun altro, magari anche su di me.
Mio fratello è vivo grazie alla dote di famiglia
per la quale piccoli peli si rizzano sul coppino.
La notte in cui esplose la bomba sotto la strada, tutte e tre
le sorelle sognarono di lui. In quel momento, semplicemente la sentii,
la dote di famiglia. Mio fratello è vivo perché
la famiglia a volte sente una vocina nella testa.
Stavo scrivendo la poesia prima che il ragazzo morisse.
Allora non sembrava giusto menzionare il fatto che bruciare
vuole dire cose differenti in corpi differenti. Stavo per
chiudere la poesia con un verso sull’erba. Ma
loro si trovavano nel deserto, ed io ero nel deserto quando
pensavo a loro, e nessun’altra chiusa mi veniva in mente.
Avrei scritto, “La collina su cui morirono
fu spesso una donna, che indossava la più nobile uniforme di guerra,
che è l’erba.” Conosco la testa del mio fratellino. Il cuoio capelluto
è quasi verde, dove i capelli sono più corti. Conosco
la testa del mio fratellino, ed è lì che sta il finale,
quello che dà un senso e fa rizzare l’erba sul
coppino, e sta così bene
che nessuno fiata – le ultime parole vivono
nella testa della famiglia, e le lascia lì per un po’.
List of Cross-Dressing Soldiers
First there was Helen of Sparta, who did it only
with oil, no one knows how; then there was
Maggie of England, who even on the battlefield
put men back together; and then there was Rose
of the deepest South, who stood up in her father’s
clothes and walked out of the house and herself.
Disguised women were always among them.
They badly wanted to wear blue, they badly
wanted to wear red, they wanted to blend
with the woods or ground. Together
with men they were blown from their pronouns.
Their faces too were shot off which were then
free of their bodies. “I never had any dolls I only
had soldiers. I played soldier from the minute
I was born. Dropped my voice down almost
into the earth, wore bandages where I didn’t
need them, was finally discovered by the doctor,
was finally discovered at the end.”
Someone thought long and hard how to best
make my brother blend into the sand. He came
back and he was heaped up himself like a dune,
he was twice the size of me, his sight glittered
deeper in the family head, he hid among himself,
and slid, and stormed, and looked the same
as the next one, and was hot and gold and some-
where else.
My brother reached out his hand to me and said,
“They should not be over there. Women should not
be over there.” He said, “I watched people burn
to death. They burned to death in front of me.”
A week later his red-haired friend killed himself.
And even his name was a boy’s name: Andrew.
A friend writes to him, “My dress blues are being
altered for a bloodstripe.” That’s a beautiful line,
I can’t help hearing. “Kisses,” he writes to a friend.
His friend he writes back, “Cuddles.” Bunch of girls,
bunch of girls. They write each other, “Miss you,
brother.” Bunch of girls, bunch of girls. They passed
the hours with ticklefights. They grew their mustaches
together. They lost their hearts to local dogs,
what a bunch of girls.
I sent my brother nothing in the desert because
I was busy writing poems. Deciding one by one
where the breath commas went, or else it would
not stand and walk. This was going to be a poem
about release from the body. This was going
to be a poem about someone else, maybe even me.
My brother is alive because of a family capacity
for little hairs rising on the back of the neck.
The night the roadside bomb blew up, all three
sisters dreamed of him. There, I just felt it,
the family capacity. My brother is alive because
the family head sometimes hears a little voice.
I had been writing the poem before the boy died.
It then did not seem right to mention that burn means
different things in different bodies. I was going
to end the poem with a line about the grass. But
they were in the desert, and I was in the desert when
I thought about them, and no new ending appeared
to me. I was going to write, “The hill that they died on
was often a woman, wearing the greatest uniform of war,
which is grass.” I know my little brother’s head. The scalp
is almost green, where the hair is shortest. I know
my little brother’s head, and that is where the ending
lives, the one that sends the poem home, and makes grass
stand up on the back of the neck, and fits so beautiful
no one can breathe—the last words live
in the family head, and let them live in there a while.
SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole
Questa rubrica di poesie, Spostamenti, nasce dalla necessità prima di tutto di dare voce al testo poetico mediante un commento, inteso questo come pratica di lettura e rilettura lenta, necessarie per cogliere quei meccanismi del testo che spesso la lettura veloce che il web suggerisce occulta. Per certi versi, la pratica del commento tanto somiglia a quella che, nell’ornatus, è la caratteristica dei tropi: si tratta di compiere uno spostamento, una sostituzione, un cambiamento di direzione che investe un elemento originario, e che nel nuovo elemento che sorge altrove rivive in una veste traslata. La pratica del commento, infine, richiede un servizio umile e gratuito al testo poetico.
La rubrica avrà inoltre uno spazio dedicato alle “parole sulle poesie”, ossia alla recensione e/o segnalazione di libri di poesia, ma anche a testi che verranno ritenuti utili per quel che concerne la dimensione del fare poetico. In quanto a ciò che viene designato con “parole sulle parole”, si intende dare spazio all’ambito saggistico, ma anche a interventi di poetica e a interviste, con apertura a tutti coloro che desiderino dare il loro contributo.