cura e introduzione di Gloria Riggio
da Famiglia nucleare (Delta3 Edizioni, 2021)
n.d.r. Per mantenere la versificazione originale, le poesie che proponiamo sono state inserite come immagini ad alta definizione
La poesia di Adriano Cataldo è il solco tracciato da un dito intento a seguire la riga su una pagina per non perderne, durante una lettura affaticata, il segno. È la pagina la realtà dell’Italia contemporanea a cento anni dal primo conflitto mondiale, che vede larga parte del discorso pubblico e del dibattito politico-sociale caratterizzarsi per la riaffermazione di sentimenti violenti, legati ad una certa retorica sulla patria e sulla famiglia. L’aggettivo “nucleare” postole accanto non suggerisce solo il prosciugarsi progressivo del gruppo sociale di riferimento per eccellenza sino a nucleo isolato, ma anche la violenza e brutalità che le nasce in seno dando spazio alla sfera semantica della fissione, della tensione socialidentitaria e di un posizionamento rispetto all’altro che pare possibile solo nella faglia di uno scontro oppositivo. Già con la prima frase dell’introduzione alla silloge, Sonia Caporossi fugando ogni incertezza definisce il libro un’indagine profonda dell’apocalisse culturale e sociale del mondo ultracontemporaneo che ha radici nella modernità e nella post-modernità. Così le tematiche della domesticità, del lavoro, delle migrazioni, della perdita di significanza delle istanze sociali di famiglia, di stato, di nemico, di confine già care al Cataldo di “Liste Bloccate” (Edizioni Del Faro, 2019) si corredano degli estratti del saggio postumo di Ernesto De Martino “La fine del mondo” (Einaudi, 2019), se non già per la formazione sociologica dell’autore, forse per il tentativo -riuscito- di una meta-analisi in colloquio con i versi. E a questo colloquio partecipano, in realtà, ancora più voci, se è vero che di un certo ribaltamento citazionistico è connotata la cifra stilistica dell’autore: i versi di Quasimodo, Foscolo, Rebora, Levi, Erba, Montale, Pasolini, addirittura le formule legislative o quelle liturgiche concorrono alla creazione, in seno a significanti noti, di significati nuovi se possibile ulteriori. Così nella narrazione sineddotica di un presente recente e dilatato dalle contingenze che lo hanno investito, l’autore fornisce alla fine della raccolta gli strumenti informativi utili a contestualizzare, ove necessario, le circostanze di nascita dei versi: il più delle volte si tratta di riferimenti ad accadimenti sociali o politici del disamore, della miseria, degli intenti collettivi capitolati in dispersioni massive di senso. Se è ancora possibile parlare di poesia civile, Cataldo vi si colloca con una sofferenza accondiscesa e consapevole, quasi che se poesia dev’essere, che faccia male: «la poesia è un’/interminabile/apocalisse// O non è» (Nanni Balestrini, Einaudi, 1988) e in questo assioma, la poesia di Adriano Cataldo coinvolge tutto ciò che impatta, operando una «dissezione puntuale della fine delle istanze totemiche della società moderna. […] Ma che cosa finisce in questa stessa fine del mondo, a ben vedere?» (Caporossi, “La famiglia nucleare e l’esoscheletro del mondo”). Queste poesie sono il tentativo di compiere se non una diagnosi, una cronaca evenemenziale per tentativi di decifrazione della realtà, da cui sempre emergono alla fine le istanze del dubbio (indicativamente posto in chiusa di entrambe le sezioni del libro) e di una speranza che nonostante una certa riluttanza propria della teleologia di partenza del libro – tutta tesa alla cronaca di un disfacimento – , comunque finisce per annidarsi nei versi e da lì condensa un urlo, scopre un volto disperato nascosto fra due palmi, ed è il nostro.
Uno: l’affine


Due: il confine

Sottrazioni

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