a cura di Andrea Donaera
da Nel segno delle camere oscure (inedito)
CINQUE PROTOTIPI E MEZZO
B-52 E KM-4 / PIERCING / 11 / MANIFESTO / RÉVOLUTION
B-52 E KM-4
Cinque prototipi e mezzo
All’occhio nel cielo
un B-52 interpone con mezzo occhio del ferro lunare
un fitto bosco di faggi nuche
corale nel suo insieme ad altre stanze più sfitte
AFFITTASI BILOCALE
si legge accanto alla spallata di sagome
impiegati forse di stampo crumiro
rimasti a ferragosto a gonfiare salari
spiccioli nelle mani dei grandi che hanno fame
Almeno
però vaga ora un po’ d’aria fresca
mentre si nasconde quel poco di vita
Nascosto tra le perpendicolari
palazzi a 4, 5 piani
e gli affluenti sotterranei del fiume
scorrono verso la tangenziale est
senza essere visti
così si riduce tutto a ricucire forse
la malasorte
alle scritte elettroniche del traffico
LAVORI AL KM 4 – Presenza di operai – Men at work
l’auto però si schianta comunque
e il bordello coinvolge anche il guard-rail
le altre accompagnano poi con tamponamenti vari
come i cartoni
come la donna sulla piazza lasciata a marcire
L’assicurazione però non risolve tutto
e nel lettino bianco quel CERCASI CAMERIERA
adesso non sembra più così male
la stagione estiva apre
e la speranza delle cose a sistemare
spinge le cartelle sul desktop secondo un ordine
e le lettere vecchie dell’avvocato
sanno forse di rimorso per non aver chiesto abbastanza
in fondo un «Non dire» – dico – si poteva lucrare
di più forse
sull’operaio morto
sul ciglio di quei vent’anni
E mentre l’onta di un lampione a incandescenza
fa un capogiro di colonne vertebrali
sulla scena si unisce anche l’umido stagnante dei corpi
a cui l’occhio si regala ancora belle immagini
PIERCING
Solo l’attimo fuggente prima del risveglio collettivo
concede ai margini della carta di pungermi
come i seni tuoi, suoi, d’altri che si imputano
al primo bacio dell’inverno
come agi passa il filo e si fora la carne giovane
PIERCING che più di tutti inganna la forza delle mie parole
Come ingannasti tu tua madre in quelle prove di libertà
Che a ripensarci sanno di ingegno certe volte
nulla paragonato al taglio dell’occhio sul verde dei polsi
11
Giusto per tentare ancora di uccidersi.
Con quel tacco anche se basso
C’è da cadere a terra quasi,
quasi le 11
Tuo padre l’ha ucciso il re ricordati
Mentre il vuoto in te è colmato veloce dalla fontana di corpi
che non smette di scorrere tra i vialoni
fossa comune di turisti tedeschi, russi e cinesi
si rallenta il mondo certe volte appresso a loro
te lo ricordi allora
di quei peli delle braccia affiorati alla poca luce della finestra
appena dietro la curva del braccio
ti ci aggrappavi per sfuggire all’epoca
tenerti sicura era importante
uno 0 x N (naturale) allora ti prende alla mente
e oltre quelle parole di odio
c’era una ribellione adolescenziale che ti proteggeva forse meglio
mentre la strada ormai ti travolge tutta dando sfogo a qualche allucinazione
per i fumi fermentati da 2 ore di sudore, smog e gente scalza
lo sguardo ritorna a quei vetri rotti della casa in campagna
e mentre tutto gira ti accorgi di essere complice anche della morte di mamma
forse
ma le macchie di luce sul soffitto non tornano mai così nitide
il vecchio orologio puntato da anni alle 10:30
ripota con sé quella laguna di versi gorgogliati appena
al cuscino del letto ad un amico
ed ecco caderti in gola la fase di centrifuga WHIRLPOLL
di molti più anni passati al silenzio di te stessa
e le vertigini non ci piacciono ricordati
come quelle del giorno
come quelle delle temperature record
li senti venir fuori tutto da sé in un retro lampo fatto di spasmi veloci e resistenza
ti pieghi appena verso quel lato della strada
Buio
e una pozza di bitume ti macchia i vestiti
pure le scarpe in quel breve sconcerto inusuale della folla che continua
e tu ti riprendi un po’ forse dal ciclo un po’ forse da quell’estenuante scorrere
e mentre sul gradino a mezz’ombra di una chiesa come tante trovi un degno riposo
Cerchi di ripulire dal quel casino,
e ti ripulisci anche coi fazzoletti che tieni da sempre in giro nella borsa
solo il vecchio rimane a prenderti in giro e ti osserva,
come lo sentì di nuovo pesante quello sguardo su di te
«Nenia» sbraita profetico
forse per l’affanno
forse per quel piccolo scandalo sommerso
A cui solo le lucciole possono dare risposta
Illuminate come erano quella notte
Ti tenevano per un po’ distratta anche dai lividi sulle cosce
Arrivi nella piazza dove mamma ti prese a schiaffi dandoti della puttana
dove papà darà oggi l’ultimo saluto agli ignari parenti come forse anche a te
e
Rimani lì attendendo in silenzio di versare qualche lacrima per te, la mamma e lui, anche
Strozzata di nuovo partorisci solo la fortuna della pioggia che ha provato a lavarti più volte
Quella sera, quando te andasti e anche oggi
Sentendoti meno colpevole di non averlo amato come dovevi
Nella camera funebre si chiude lui
e con lui lo sgabuzzino delle scarpe di danza
«le aveva lasciate a loro posto sai?! […] »
«Grazie zia, la cosa mi rallegra, […]
almeno»
ti ricordi così di comprare di ritorno a casa
Soda caustica e veleno per topi
Meglio di un cappio fatto con le ballerine di quando avevi 11 anni
MANIFESTO
Cartolina. Punto uninominale. Nominativo. Costante. Certe volte no.
Però. Può darsi. Oggi muore però, oggi muore.
Zero. Tante facce. Nulla vale tessere le lodi. Tessere! Nomi.
Di funzioni. Di frazioni di derivate. Rifrazioni post-marxiane. Disperse.
Spicciati! Allora, Spicciati! Come la mosca. La mosca sul quadro.
Tu sei la mosca che cammina e non sente. Non serve. Futuro prossimo.
Io sono la mosca. Vorrà fuggire. Saprà farlo?
Tutto resta verso il paesaggio. Spavento. Dietro. Solo Io. Davanti. Passato allora.
Batte i piedi. Scalcia. L’anestetico della casa serve a ben poco.
Poi di questi tempi. Cartolina. Cartolina tutto! Tutto. Tutto finito. SOLD OUT
come punto fermo delle cose che vanno a
capo.
Scheltern:
– Sheltern degli asterischi volgari;
– Scheltern degli scarafaggi;
– Scheltern degli sportelli fuori servizio.
.code. Rabbia. .file. Rabbia. Code. File. Altra rabbia.
Attendi prego.
Il pixel rotto sulla facciata. L’uscita di emergenza. Non si garantisce però il reso.
Allora me la tengo. Meno rabbia. Me lo tengo e lo faccio mio. Unico. Pezzo d’arte. Anzi lo appendo.
Vicino alla mosca. Vicino alla cartolina. Del mare. Della nave che affonda. Del paesaggio che va a capo anche lui. Oltre le colline.
Vedi, quant’è falso?!
Vedi, che sia già futuro o passato. Prossimo. già visto. già vissuto. Da qualcun altro. più di te, irraggiungibile.
Che poi cos’è lo Scherltern? Io non lo capisco.
RÉVOLUTION
Ricordo fin da piccolo pregavo
Non che fossi cattolico a quel tempo
Né sicuramente in quelli a seguire
Ma portavo già al tempo fiero in petto
La medaglia morale di stare nel giusto
E che stare nel torto non permetteva di avere ragione
Anche nel caso avessi detto che il sole è in cielo
come le stelle
Dicevo
Pregavo fin da piccolo
Non per altri che per me
E sentivo la fede scorrere
Solo quando la Miseria delle mani di mia madre
Mi raggiungeva
La Révolution della violenza domestica
Sembrava esserci più pace
dopo quegli schiaffi nella mia stanza
come se fossi libero dal peso di sotterrare
cadaveri in giardino
d’altra parte sarà stato quello forse a tradirmi
ma cosa potevo saperne io a quel tempo
anche i cadaveri sanno germogliare
Vattene! – gli dico – non è il tuo posto
E lui risponde con tono acceso d’un vecchio frate minore
Intento nel suo uffizio di verità
Abiura! Che i palazzi del tuo artifizio crollino
Si levi il giorno e mentre l’attimo dell’alba sprofonda
L’elisio inferno ti prenda e ti giudichi
condannandoti all’alta cupa fiamma che ti spetta
Poi rimase lì a fissarmi con gli occhi del demonio.
Rimasi anch’io lì ad attendere un suo morire definitivo.
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