Diego Riccobene | Ballate nere

a cura di Lorenzo Pataro
da Ballate nere (Italic Pequod, 2021)


Rifiuto di recidere la chiostra
che avvinse le tue mani nel rabesco
lapideo degli inverni,
il filatterio aggrovigliato d’ossa
per lodi a quelle voluttà scomposte
in canutiglia gialla e bianco perla.
Un respice del sonno, un catalettico
bugiardo, quel ch’io sono quando mormora
la stimmung verso il groppo
di cieli brancolanti, nel rovaio
in lustra prefettizia grigio piombo
che indosso come un sogno, con vergogna.

*

Ascolta il traditore al dislagare
del sangue lungo cumuli d’arterie,
di fibre e di liquori qui aggottanti
ch’impolpano i precordi fino al tronco.
Sarai già sveglio e vigile quel giorno?
Le piorne risa d’Austro sul brandello
rigonfio di mollusco, quello scelo
virente per soffuso intracutaneo
saranno essi barbagli d’altro giolito
ch’a lungo il patriarca t’ha promesso?
Imboccalo dal coro, lo spergiuro,
la voce dell’ambascia sì stringente
a scherno di qual invido didascalo
inculchi maltalento dal serrame.
Ah, pervertire i vizi in più clementi
tumulti indociliti al vassallaggio,
che fama onusta! E pur nel dileguarsi
non eccita carizie, ma s’attaglia
al vezzo delle carni. Adesso ascolta,
pasciuti e storpi giacciono congiunti.

*

L’esilio deve consumarsi adesso,
nel dolio vaporante d’acque nere
che ammiccano tra i ronchi semichiusi
dagli apuli confini, dai pantani
che in fondo sono porte lungo clivi
chiazzati di serotino adamante.
Prosciolti da ogni vincolo, li vedo
quegli incubi pennati nero notte,
crogiolano nell’aere di qui sopra
nel nome di un grazioso emendamento
sì breve, ma se penso alla gran gloria
del Figlio che scostò la pietra morta,
nessuna concessione mi sia avulsa.
È tutto questo, dunque? Ravviarsi
il manto e poi cadere ancora in torme
di zolfo, quando gracchia dalla concava
caverna quell’araldo corvo, il tramite
tra il medio e il sottomondo che rinserra
il tribolo già grave dei dannati?
È questo che ci attende, peccatori?

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