Spostamenti #12 | «Ecco la nostra pyrosophia»

a cura di Giovanna Frene
di Ida Travi
da La consegna delle braci (Sossella, 2021)
fotografia di Dino Ignani


SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole


Ecco la nostra pyrosophia

Si entra attraversando l’Atlante che raduna le immagini disseminate nel libro. L’Atlante a sua volta si apre su un Preludio a cui seguono quattro capitoli, tutti rivolti verso il Congedo. Certo, è finale il Congedo, eppure si consegna come evento catartico portatore della grande contraddizione, trattandosi in realtà, questo Congedo, d’una sacra Resurrezione, qui in una versione dello Speculum Humanae Salvationis.

Là, a inizio libro, ci aveva accolto illuminandoci appena, il Ritratto di gentiluomo di Bartolomeo Veneto. Possiamo vederlo grazie alla luce alle sue spalle mentre tra il gentiluomo e il paesaggio palpita pesantemente la tenda scostata. Il gentiluomo ritratto, enigmatico e struggente, poggia le mani inanellate sopra un labirinto ricamato sulla sua veste, all’altezza del torace: ciò che il gentiluomo mostra all’esterno altro non è che il suo tracciato interiore, entrare lì dentro vuol dire non aver altro scopo che uscirne. Ma Indossare il labirinto, e dunque percorrerlo in sé, sembra essere qui il primo compito del viandante all’ingresso del libro, quando si spalanca la parola.

Sollevato dalla tradizione alchemica e dal potere trasfigurante del fuoco segue il testo poetico come incuneato nei secoli: là fuori il mondo come bloccato nella chiarità d’un ordine, qui, in poesia, tra parola e immagine è in atto un pellegrinaggio che si sa senza fine. Voltando le pagine prende il via l’attraversamento d’una postura mistica, sapienziale, alchemica, una forma di riconoscimento profondo sul punto di dire addio.

Si accede a La promessa focaia come attraverso una piccola porta alchemica illuminati da una torcia. Leggiamo in esergo le parole di Chajim Bloch (da Storie chassidiche): Rabbi Uri di Strelik, mentre pregava, vedeva le lettere scritte in un fuoco nero su un fuoco bianco[ …]. E usciva dalla preghiera come da un fuoco. 

La consegna delle braci è scandita in quattro sezioni ecomprende alcune indicazioni per il cammino che ora sappiamo interiore: Compendio per l’edificazione, La sapienza della nebbia, Le parole obumbrate e Rasure. Noi raccogliamo queste indicazioni misteriose, come scompaginazioni, fessure da cui ci osservanoesserispeciali, viventi di tutte le epoche, fresche e accatastate: di citazione in citazione ci troviamo di fronte a istantanee visioni di Gertrude di Helfta chiamata a essercimentre sogna le particole. Intravediamo Remo Pagnanelli fermo nell’incrinatura talento, e Dylan Thomas, e Jacopone da Todi, e Rilke proprio nel momento in cui consegna alla storia il suo Libro d’Ore, e Cristina Campo ancora in cerca del suo nome. Come tinteggiati, vediamo sulla pagina le loro parole, tagliate in pellicola. Frame, dettagli, fotogrammi, forse. Cose da film. Eppure si tratta d’un libro di poesia contemporanea. E perché queste fenditure? Cosa sono questi salti millenari?

Una folla continua s’affaccia tra le pagine, anzi, ancor prima d’aprire La consegna delle braci avevamo incontrato in copertina il XV secolo nello stuolo delle aureole di Les Heures de Louis de Laval : il libro liturgico legato alle ore del giorno, là dove la preghiera è calata nell’inesorabile variare della luce, e ora in questo ‘infrangimento dei sigilli’, ora attraverso citazioni aleggianti, nel bianco e nero della pagina, compaiono e convivono, quali viandanti secolari René Char e Derrida, Emilio Villa e Teresa D’Avila, Adriano Spatola e Edmond Jabès. E Chajim Bloch, e gli altri, tutti qui nominati a recingere il regno dei morti.

C’è una franta liturgia, va e viene il respiro di Cristina Campo. Ci sono le schiene, le figure alle spalle, ci sono i non nominati, e quelli soltanto evocati, come in sogno, come tra le nebbie dell’Islanda. Appoggiati agli stipiti della pagina, ora sì, piccola porta regale, ai nostri occhi appaiono Pavel Florenski e Elemire Zolla, le sante e i santi, le icone russe, i pellegrini. E Tarkowskij e Rublev, e dietro, ancora più indietro, molti altri angeli custodi vagano tra le parole scritte, figure angeliche avanti e indietro sulla pagina, appoggiano i piedi sui segni scritti cercando di raggiungere Le isole britanniche consumate fino a scomparire dal mappamondo. Un campo, un sagrato, un cielo stellato, come una semplice croce piantata lì nel mezzo, a noi pare questo il punto in cui Giorgiomaria Cornelio s’è fermato ad accendere il fuoco: strofina libro e ossa, scheletri, ci immette nella poesia dei segni scuri, del sudario bianco. E lo fa dichiarandolo:

‘ Ecco la nostra                       pyrosophia.’

È un ordito di riferimenti fittissimo, ciascuno, tra chi legge, si riallaccia idealmente alla sua schiera ardente. ‘Immagini, figure germinali’ così le chiama in nota d’apertura Rubina Giorgi, o ‘nascite latenti, per Rimbaud. Nei vuoti della scrittura stanno disseminati gli indizi come briciole di pane. Si avvertono i corpi, i riferimenti. E noi che leggiamo li seguiamo, sapendo bene che ci perderemo, in mezzo a loro.

Così è la parola poetica di Giorgiomaria Cornelio: si sposta, scende, va giù  nei sotterranei. Si sposta di lato sulla pagina. Mette i crolli e le rovine angelicamente alle spalle, proprio di fronte a noi. Sullo stesso tavolo appoggia l’uncino del beccaio, il calco del padre, e la radice dell’inchiostro. In questo libro troviamo immagini – invisibili – dentro le parole, e troviamo le parole dentro le immagini invisibili. Nel tempo se stai vicino al fuoco, troverai le braci.

La poesia di Giorgiomario Cornelio va nella direzione di questo montaggio inesausto tra immagine e parola, una costruzione ardua, in flashback. Poiesis, altro non è nell’attimo che l’avanzare a ritroso d’una sola fiamma, forse di là da venire, forse già mistica brace ardente, ardente, millenaria.


SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole

Questa rubrica di poesie, Spostamenti, nasce dalla necessità prima di tutto di dare voce al testo poetico mediante un commento, inteso questo come pratica di lettura e rilettura lenta, necessarie per cogliere quei meccanismi del testo che spesso la lettura veloce che il web suggerisce occulta. Per certi versi, la pratica del commento tanto somiglia a quella che, nell’ornatus, è la caratteristica dei tropi: si tratta di compiere uno spostamento, una sostituzione, un cambiamento di direzione che investe un elemento originario, e che nel nuovo elemento che sorge altrove rivive in una veste traslata. La pratica del commento, infine, richiede un servizio umile e gratuito al testo poetico.

La rubrica avrà inoltre uno spazio dedicato alle “parole sulle poesie”, ossia alla recensione e/o segnalazione di libri di poesia, ma anche a testi che verranno ritenuti utili per quel che concerne la dimensione del fare poetico. In quanto a ciò che viene designato con “parole sulle parole”, si intende dare spazio all’ambito saggistico, ma anche a interventi di poetica e a interviste, con apertura a tutti coloro che desiderino dare il loro contributo.

1 Comment

  1. Mi avvicino in punta di piedi, Ida Travi come voce mi ha raggiunta dalla radio, Cristina Campo di Tigre Assenza mi ha nutrita, Elemire Zolla mi metteva in soggezione. Le icone russe invece no, tramite Rublev, dentro Tarkowskij.

    Icoclastia necessaria per dar rilievo alle parole. Silenzi necessari, per dar rilievo.

    Consumo anch’io e scompaio.

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