Leonardo Masi | Poesie

cura e introduzione di Ilaria Palomba


Le linee guida della poetica di Leonardo Masi sono: attenzione minuziosa nei confronti delle piccole cose, mutuata dal Montale di Satura, e sguardo verticale, legato al tema del sacro, derivato da un’attenta lettura di Mario Luzi. Si nota anche il gioco chiaroscurale con il tempo, l’amore per i luoghi dell’infanzia, cari al nostro Gabriele Galloni. Il lavoro sul tema del tempo è evidente anche nelle prose di Masi presenti su Suite italiana.


Ho conosciuto Dio nei canti gregoriani
del monastero de Santo Domingo de Silos.

Il cd non l’ho mai esaurito, ma la sera
dei corpifuoco mi tenevo al buio,
gambe incrociate sul tappetino
ed attendevo la terza traccia:
Ave mundi spes Maria. Ascoltavo
e mandavo a memoria, come
le vecchie degli anni Cinquanta.
Io che ho fatto un liceo che
è fuori dalla storia, senza humanae litterae.
Facevo finta di pregare
legato al soffito
scarruffavo i capelli come un Cristo,
sapevo conciliare il falso e il beninteso.

I

Andiamo a vivere a Roma, oppure
viviamo qui, in questa casa di montagna.
Lasciamo la città ci divori, immolati
al sangue dei Santi, come il marmo
e le sue vene i rintocchi non tremano
sono il tono dei canti in cattedrali lontane.

II

La mia casa di montagna ha una storia
tutta sua, che dai nonni passa ai bisnonni
non vecchia come la Lupa, se ascolti
i battenti non cigolano, hanno sempre
un’armonia ben oliata. Potremmo dire
qua c’è silenzio, i rumori della valle
sono preda della nebbia. C’è una chiesetta
di San Michele Arcangelo, grande quanto
una camera. Il nostro tempo un taglio
in questi muri a pietra, la muffa si rinnova
nel bianco.

*

Le tue mani chiedevano un tempio
cassapanche di legno e un freddo
troppo semplice per noi che allontaniamo
i letti. Contadini che impegnano i guanti
nella terra, scultori che limano i calli
nella creta. Sono tante le storie e le strade
che la sera invocheremo ai figli.
Strade battute e di miseria: quella notte
di fronte alla credenza, le tue mani
vibravano un tempo, ma di chiavi
ce n’erano poche, forse una.
L’hai deposta ai tarli.

*

Nella casa di montagna l’essenziale
macine falci ferri da stiro battuto.
Ma non siamo manovali,
il lavoro ancestrale ci spezza.
Gli artigiani di carboni e resine
siamo noi se stipiamo le sillabe
in versi. In questi cercavi il tuo nome
il camino digiuno di fuoco
scambiavi le carte nel vuoto
di una notte, la stessa in cui freddasti
l’assedio.

*

Cerco di ascoltare i millenni
se vibrano le ore come secoli
perdo metri di misura disteso
sulla sedia di vimini, in veranda.
E la panchina di Vellano, dove
sola evocasti la parola Sehnsucht.
Fuori dal giorno, nella sera
pregavi in silenzio una scomparsa.

Saranno eterne le tue mani
del Signore
l’impronta sul mondo.

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