a cura di Nicola Barbato
Consacrarti il coraggio alla felicità
come la pianta si consacra all’acqua;
attenderti sull’uscio della porta mentre mi indichi il mare,
e rivedere la luce d’oro che ti ride sul volto.
A poco a poco raccogliere l’impressione della sabbia di mezzogiorno,
indovinare nell’altro il miracolo.
*
Sento un groviglio di case
nel mezzogiorno del mio petto:
ecco la terra battuta, ecco la cicala.
*
Leggesti una volta i petali ai fiori
non mi sorprese
tu conoscevi la geografia del silenzio,
sapevi domandare alla polvere se avesse mai visto una primavera.
Sillabavi uno per uno i colori del buio.
*
Ti rincorro come i bambini a ricreazione
di una corsa vicina ai raggi dell’alba,
senza cercare secoli che si ripetono o mansioni intrise di profondità.
Il tuo sguardo vivace mi ricorda
tutte le cose semplici di questo mondo:
quando i miei occhi osservano i tuoi
sento inginocchiato – dentro loro e dentro me –
lo stupore della terra intera.
*
Una linea a forma di sogno disegna su di me
il sudore delle generazioni e continua a scorticare i miei occhi
con tutti i profumi e le ferite di anni di attese.
– il giornale lo ha detto:
«Vedrà com’è difficile la pace, soldato» –
Che cosa salverei di questi episodi arrugginiti sullo sterno?
Solo quella cosa che è sul fondo, contornata da fiori secchi,
solo quella cosa che – da sola – sa quando morire.
Un giorno ci sarà un’altra cosa al posto del giorno.