Spostamenti #47 | Alberto Fraccacreta

a cura di Giovanna Frene
da Del tutto diversi (Interno Poesia, 2022)


Il platano di via Valerio

Se credi di entrare contro il flusso delle foglie
sulla soglia del giardino, quando febbraio
finge di rinverdirsi e coltiva nuovo gelo,
perché casualmente passasti
e non avevi altra strada,
per favore non bussare,
non essere tu.

Se ritieni di non avere presenza di spirito
e vuoi colmare i vuoti con il becco
scaltro del martin pescatore
che acciuffa di netto la preda
perché vuole esibire il bel piumaggio,
per favore non afferrarmi,
non essere tu.

Di questa esistenza non vediamo
che lo specchio deformato,
una tela ricamata e non ultimata
agli orli, non riusciamo
a scorgere il male che ci sorprende
come il vento sui vicoli ciechi
del non essere noi.

E se invece, nel guardarmi passare,
ti ha preso quel senso di distacco
da cui è colta la persona
che ha camminato per anni
separata da sé e adesso si ritrova,
allora te ne prego férmati,
cerca di essere tu.

Debolmente discernibili

In meccanica quantistica quando due
particelle viaggiano appaiate
sino a confondersi sono dette
‘debolmente discernibili’.
Complicate operazioni dimostrano
poi d’essere due invece di uno.

In meno di un anno, in un segmento
di spazio relativamente breve
(la bisettrice che da via Saffi
ruota per corso Garibaldi
e si congiunge al fulcro della piazza),
nella grigia alternanza dei locali

erano poche le possibilità di non incrociarsi
e invece sono state deboli le volte in cui,
uscendo dallo spettroscopio della massa,
ognuno ha riconosciuto nell’altro
una particella presente e viva, anche se
debolmente discernibile.

Due fotoni impazziti e lucenti
con il capo chinato quando si trattava di guardarsi,
incastrati nell’algido esperimento
di dedursi da labili segnali,
due atomi altezzosi e fieri
somiglianti ai primi della classe, i protoni,

ma incapaci di coraggio se era il caso
di capire da sé stessi quale fosse
il comportamento reale (ondulatorio, corpuscolare)
che, solo con il tempo e la dedizione,
avrebbe reso due entità a prima vista distinte
debolmente discernibili.

Highliner

Puntini di pioggia rigano l’aria
con la nebbia fumida che sale
come una signora sui tacchi
e s’impania ai bordi. Ti aspetto
sotto il portico del duomo, arrivi.
L’allucciolio
del tuo sorriso lieto sfiaccola
fin da sotto, da sotto

le statue severe, muschiate
mentre lampi di visioni di giovani ragazze
hanno anticipato
la tua venuta, ora avverata, ora già
capace di strinare le perplessità,
le piccole e miserabili guerre psicologiche,
ora sì sei già pienamente corrusca
e la foschia interiore dissolta.
Stretti nell’ombrello
giriamo per via Santa Chiara, intenti
a entrare furtivamente nell’università
o a trovare riparo tra le grondaie
con i capelli che ti s’imperlano e inzuccano
come la regina azteca di Michtlán
e la matita per gli occhi comincia sulle tempie
a emettere segni sottili simili alle tante
vocali accentate di sostantivi messicani.
Ti spiego maldestramente
tra occulte citazioni
le presidenziali americane, i grandi elettori,
le percentuali crescenti, il decisivo Nevada ―
il tuo highliner intanto sborda, sporge, straripa
nel bigio ruscello
dell’accordarsi dei caratteri, nel fragoroso Mississippi
del nostro concederci,
il tuo highliner che sembra
avvolgere giulivo ormai tutta la città
e in piena comincia a esondare,
a sradicare le cimose di ogni prudenza, travolgerci
abbattendo argini di saggia salvaguardia,
per entrare infine impetuoso e vittorioso nella meno saggia
consapevolezza di iniziare a volersi bene,
di pensare per calcolo o per sbaglio
di restare insieme.
I nostri sabati

*

Trovo bellissimo passeggiare di sera
con te, quando non ci sei
e le chiome dei tigli sembrano correre 
in un inchino a spettacolo del giorno finito,
dopo i calorosi applausi del vento.

C’è sempre una distanza che ci distoglie
dall’essere solo noi.

Da questo sono preso e resto perplesso
mentre il tuo viso interrogativo elude 
altro punto di sguardo, voltando la ciocca di capelli
verso il mare tempestoso degli esami della vita
che vivremo e non vivremo insieme
aspettando la stella o il giorno giusto
in cui il solo noi sarà davvero tratto in salvo.

Corredentrice

Quando passeggi e hai quella sicurezza snervante,
quel tratto di trucco incerto, una compostezza
singolare negli abiti un po’ punk. 
Quando vai in facoltà e ti vedo a lato,
stai riflettendo su qualcosa d’importante ―
non ti volti, fissi la strada davanti 
come a dire: ‘Devo essere ancora di più’.

Quando ridi e osservi in profondo, non timida
con fiducia irriverente, il cocktail e i tremori
della bellezza sono dalla parte del tuo vento, 
sempre al fianco di quei vent’anni invincibili.
Quando hai il coraggio che solo una donna
può dimostrare, la capacità di alzare la testa
sotto gli aculei, come un porcospino.

Non so se dirlo è possibile
ma credo che oltre il visibile e l’effettuale
il mistero della femminilità non ti abbandoni.

In questi e in altri episodi di cui ho perso traccia
e che ritroverò, attento stenografo dei tuoi passi 
d’istrice, chissà con quale insolenza
ricordi la Corredentrice. 

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