Vera D’Atri | La gioia dell’acerbo

a cura di Francesco Terracciano
da La gioia dell’acerbo (Ladolfi, 2021)


E nel muoversi
tutto far muovere. Il battito
cupo d’asfalto, il conteggio dei passi,
la polvere e i sassi e orrende le quieti
del vivere persi, inoltrati a far versi
o a tentare finalmente l’errore.

Andar via dai meandri del cuore.

*

Per questa veglia che il mattino
ingombra di silenzio pura respira la gioia 
dell’acerbo, la gioia del talento che troverà il suo
verbo, la spola tra l’intimo e l’altrove, l’ansia
che vestirà l’ingenuità del corpo.

*

Ci saranno rilasci a catena.
prima il sole, poi il cielo e infine
l’ultimo brandello di tempo.

*

Fu tempo come ora di salvarsi.
Di trovare il sacello, lo splendore
del mistero.

Le stanze furono adattate.
Sedevo alla destra del padre.

*

L’errore era al mio capezzale
e ancora non lo vedevo. Quello che avevo
Imparato dimenticavo.

*

Attente, su per il vasto 
movimento della vita le trasparenti
applicazioni della mente a scrivere e
a tradurre un’accensione di passaggio
e della rosa muta quel profumo
che dispera.

*

Nessuno nasce così piccolo
come quando muore. Nessuno nasce 
così innocente come quando muore.

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