Matteo Marchesini | Scherzi della natura 

cura e introduzione di Ilaria Palomba


Bordi
#6


Essere portatori di un dono tremendo, e saperlo offrire con grazia, con disarmante naturalezza: i versi di Matteo Marchesini sono anche racconti, la sua ultima silloge Scherzi della natura (Valigie rosse, 2021) lega l’elemento autobiografico al pensiero critico. Mi ha sempre colpito il coraggio di Marchesini di dire la verità in ambito affettivo, letterario o politico; non indorare la pillola, non adornare nulla, cercare nella nudità della parola il senso ultimo, ma anche la superficie. Ritrovo in lui Michelstaedter e Fortini, perfettamente agli antipodi; Raboni, Febbraro e Maccari, quest’ultimo firma la bandella, riconoscendo in Matteo Marchesini uno dei nostri scrittori migliori. “La prevalenza di endecasillabi rotondi, o solo appena ansanti, alternati a settenari o a versi di lunghezza diversa ma orbitanti nello stesso giro armonico, rafforza la tenuta di questo ordine lasciando peraltro libero campo alla libertà delle soluzioni via via inventate (dalla misura, versale e tonale, dell’epigramma fino al poemetto” scrive Paolo Maccari. Marchesini è insieme sobrietà e profondità; una voce rigorosa, in equilibrio perfetto tra apollineo e dionisiaco, intimità e critica sociale, psicoanalisi e rivolta, ma una rivolta che non si sottomette ad alcuna schematizzazione o banalizzazione.


Biografia

Sono cresciuto in mezzo ai libri e ai vecchi.
Negli asili emiliani madri ansiose
riflettevano come degli specchi
convessi ogni mio atto, mentre io
traducevo la loro angoscia in asma. 
Vicino il padre mite era un fantasma
con le pupille acquose, e i miei compagni
un’altra specie su cui fare astratti
esperimenti, come gatti o ragni.
Tra la villetta a schiera e i casolari
dei nonni o zii ex mezzadri la domenica
compivo un viaggio tutto letterario
e una meta rendeva l’altra esotica.
Quel mondo a lungo l’ho creduto eterno. 
Solo per questo avevo del coraggio:
scambiavo il tempo per un alfabeto,
le invettive composte sul quaderno
per un duello, e l’arrendevolezza
degli adulti con ciò che erano stati. 
Ma è bastato sbagliare la carezza
del primo amore, dividere un segreto
senza specchiarlo, imbattersi nel caso
maligno perché come Bazarov
scoprissi di non essere cresciuto. 
Da allora tutti i libri sono chiusi.
Ma i vecchi che avevano azzeccato
quella prima carezza, che sapevano
ogni cosa di me senza parlare
e non si erano illusi sulla sorte
mi stanno ancora intorno e sono giovani,
sempre più giovani: con una calma nuova
guardano maturare la mia morte. 

Case


Tu sei come la figlia
di un re in esilio: in qualunque città
traslochi con la scia 
delle tue insegne, fai dei bilocali
d’affitto una reggia colorata
e in pochi giorni
i negozianti ti chiamano per nome
sperando nella tua benevolenza,
hai nel rione il libraio di fiducia,
la bici, la piscina, 
e spalanchi con gesto naturale
le porte di una festa
per uscire seguita da un corteo. 
Solo me che hai sedotto
non sai convincere a calcare il mondo
con il tuo passo: 
dopo più di un anno 
i posti mi rimangono stranieri,
come unici amici ho due o tre vecchi
che al bar mi graziano
soffiandomi un grugnito sempre uguale
e lascio i muri spogli
perché io che li scrivo neanche i libri
sopporto intorno
se non in casi estremi per difendermi. 
Come spiegarti? Era già così
dove sono cresciuto. 
È che vengo da gente 
(chissà se lo sapevi quando ti ho
sedotta col mio unico talento:
essere un altro) 
abituata ad alzare a malapena
lo sguardo sui palazzi
di portici e cortili in cui sei nata. 
Talmente fonda era la soggezione
che nemmeno ci entrava
con la livrea dei servi. 
Scrosta col dito la mia letteratura 
fino ai nervi 
e trovi questo:
un’antichissima paura
che solo il Novecento ha trasformato 
in un amore - o quando mi ricordo
che ormai non possiedo né il passato
né il presente
e constato con quale leggerezza 
tu te li porti addosso,
in puro odio. 

Poesia d’amore

Vuoi davvero sapere chi sono? 
Ricòrdati allora: se ridi
e mi tendi le mani
penso subito a un plagio, a una trama 
oscura, italiana;
se facciamo l'amore e rimani
a girare per casa
sento entrarmi nel corpo il contagio 
e comincio a imitarti finché 
diventiamo due uguali - due estranei.
A quel punto, che cosa ci resta?
Sì, i progetti: ma se parli del nostro domani 
tutto intorno mi sembra un presagio.

Un paziente


So descrivere tutto
fuorché ciò che accade al mio corpo. 
Davanti ai dottori balbetto
e mi tocco come si avanza
a tentoni, fiutando
l’odore di un mostro
dentro a una camera buia.  
È che il mio corpo è vostro: 
di voi tutti che lo sfiorate
per amore, o mestiere, o per caso.
Mia è solamente la paura.

Oggi

Stai sempre per dire qualcosa
poi inghiotti l'aria e taci.
Tutto è già detto. Tutti hanno ragione.
Una rosa è e non è una rosa.
La bocca serve per i cori e i baci
o a nominare bestie, oggetti, persone.
Al massimo, fai una dedica.
Ma no ai predicati: sono una predica
inutile. Una gaffe dell'umore.
Chi si lamenta ha torto.
Ascolti il silenzio del vincitore
per distinguerlo da quello del morto.  

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