Tumefatte le parole dal vino
sono impastate verità alle strade
sotto un olivo tratteggiate.
La pazienza della terra,
uno stormo frantumato
dalla pioggia: bere è stato
misurarsi il respiro, tenersi per sguardi.
*****
Mi abbottoni le note alle parole –
fa difetto alla mia lingua il tuo nome, detto
a viva voce. Il mio cappotto ha il colore
del legno, della carta, ripete il mio umore
mi rende vetro informe dello stesso biancore
che pallido frigge nella nebbia. Ho una voglia
sul petto incolore, ma so che non è colpa
del sole, sarà invece quel grumo
sporgente di anima e cuore.
*****
Mi dico che ora non tornerai
nei pressi della civiltà adorna di vergogna
spoglia dell’odore dei mirti, lontana dalle vecchie
sponde dove approdarono tutti
e sette i difetti e l’amore
divino tua perla, o Venere
scarna che rifuggi il capitalismo:
qui anche l’anima è un automatismo.
*****
Conti il peso dei giorni che ci separano
e non ci stanno sulle dita in sovrappeso
di distanza e d’occhi lucidi. Ed io non ho tempo
per desiderarmi il bene, indovinata la dignità
scalfita dal coltello che si abbandona contro
i fiori pungenti, fragranti come il fiato
del forno a legna. Nel grembo del bosco i piedi
scalzi al di là dei vapori
scosto da inguini di terra e fiumi.
Coraggiosa codesta idea ‘panica’ nel considerare la presente realtà contemporanea alla maniera greco-latina ed anche, sullo sfondo, l’ ebraica memoria. Dunque Venus, versus moderno ed ultramoderno? Non credo poiché, in filigrana, viene percepita ben chiara una qualche nostalgia per l’ex-dea, regina del femminile, così come ce la porge la Nostra, sul filo onirico del ricordo che, in qualche modo, lo avrebbe suscitato. E quel grembo declamante il bosco, un valore circolare che parte dall’humus fertile di scarti marciti, agli inguini, pur essi fertilissimi, una volta espletata una precisa, rinnovabile funzione. Certo che lo scarto fra trapassato e presente, essendo enorme, frastorna ogni riflessione.Rende incapaci di discernere la direzione del bivio faticosamente raggiunto in compagnia del dolore. A destra l’incertezza del funambolo in equilibrio sul teso filo d’ acciaio, a manca l’invito, forse, per una lucida follia. Ritorni e rientri circolari, sempre quelli e nessuna certezza, se non quella del dubbio.
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