*
L’ora è terribile, raggela il cuore.
C’è ancora il sole, sul vostro balcone.
Nel bosco sacro come nei giardini
pubblici, stanno riscrivendo il rito.
Soffia di più il vento, sembra che parli
(è solo una canzone, su, sta’ calmo.)
Il giovane ufficiale, il sacerdote
cancellano le formule e i registri.
Che velo aveva, era sicuro bianco?
il legno delle sedie era maturo
o scricchiolava? i grandi quadri accanto
erano alti, qualcuno li guardava?
Sui testimoni si addensa il sospetto,
le esitazioni nella voce, colpe.
Si bussa ai fianchi delle casse, è in dubbio
la buona fede di chi se n’è andato.
*
Noi siamo immersi in un acquario. I pesci
senz’acqua, stanno fuori. Sugli stecchi
sospingono palloni, i ragazzini.
Qualcuno appanna il vetro, il mondo è illeso.
*
Le foglie, i vuoti d’aria. La caduta
è solo un graffio dell’ombra. Si disfa
in pochi giri – il viale è corto – quello
che resta della stagione. Si tiene
il mento basso, la parola chiusa
nel petto: il tuo restare è qualche sguardo.
Tempo che si trattiene o che è già andato
in altro tempo, il tuo fianco, il respiro
e a terra il tuo dolore, che conosco.
*
Scoprivi l’irrisolto, era mattina:
puntavi il dito al centro oppure ai lati
di monti d’acqua, il cielo sciolto sotto
nell’onda crespa. Era vapore, il sole.
Ti innamoravi di strane creature
pelagiche, col dorso di cristallo.
Era curiosità, la tua? Con grazia
fece capriole il vero, cadde in piedi.
*
È questa fede nel martirio il vero
miracolo. Tu implori da lontano,
io temo di risplendere, o che guardi
il mio costato e non le mani stanche.
*
Faccio fatica a dirlo, non ci sono
se qui misuri le impronte nell’erba
con il tuo passo, e qualche casa, un viale
che stringe e sale, se ne ha voglia. Stanno
ancora qui le sue cose, mi sembra
tra due finestre. Si era fatta magra
in poco tempo, e “come fanno, adesso”
mi ripeteva, “e tutto quel lavoro?”.
Adesso gìrati, muro dei giochi
o cadi, in qualche parte. Sono neri
di fumo i visi, le mani di piombo.
La carne un odore sottile, ogni tanto.