L’ora del lupo
Non so perché i treni che vanno
mi trattengono come la vita senza di te,
convinto che faranno marcia indietro,
che sull’altro binario fischieranno
da una piccola sommità
e a filo d’occhio freneranno
per i passeggeri, sagome sguscianti
scese dal predellino
facendo luce opalescente sulla pensilina.
Papà tenderà la mano
nel passo calmo, un po’ infreddolito
e sbracciando dirà che c’è, che è tornato.
Sono pensieri taciuti, assurdi,
che fanno compagnia nell’ora del lupo
*
Piove per la prima volta
nella vacuità di un mercoledì di ferrigno
e i veicoli incidono l’asfalto di gore.
Vorrei tornare da te papà,
in un duetto sottobraccio per non confondersi
tra chi paga il biglietto fuori dello stadio
quando l’aria sventola di bandiere e d’infanzia,
di cori e di gioia avvampata nel prato scintillante,
negli striscioni della curva prima del derby romano
*
Tornavi da Roma
In un silenzio già festivo
camminavi con la camicia blusante
arrotolata sui gomiti
come gli attori della dolce vita felliniana
davanti all’ara di un colonnato del Vittoriano.
Nessuna apprensione ti mormorava
la via di casa, il venerdì,
quando la provincia era un vicolo e un ansito
di cielo e di pietra erosa, di sonno
se arrivavi dopo la mezzanotte
con la luce delle insegne di Roma nord
ancora sulla fronte alta,
nella fioritura delle stelle
lasciate sulla statale e sul valico di Fossato di Vico
per amore dei figli
addormentati in fondo al letto
della madre rimasta sveglia,
angelo dell’abbraccio sollevato nel pianerottolo