XLVI
Come il senso, non senso e coatto di
una fine uguale a tante altre udite, ma
pure inusitata, inferma e per sempre
fissata, sbilanciata sulle carnose labbra
di una galassia qualsiasi, imbranata nel
suo anticipato livore perché impegnata
nell’estasiante morsa, magnete del dolore.
E quella tangente a niente agganciata, il
punto estraneo al siero colato, estrema la
ansia di apporti interposti su scale della
ferrea grata a ricordo forte del passato.
XLVII
Correlata alla luna obliata, una mano
sfortunata e di tanto, troppo in ombra
fulminata. Ma coi ritorni non conclusi
intrecciati i capillari fra le sfere e spire
di serpenti scudisciati, code indecenti
il tutto orrore, ebbrezza ed angoscia per
le fottute genti. Anche la scrittura lenta
sbiadita e tremolante, un nulla se non
talvolta doverosa, sana pausa dolente.
Una smania, una mania giammai erosa
degna di una psiche, di certo, un po’
molesta, ma pur ovvia nel suo portato.
Subito l’istrumento smanettato per la
speranza attesa, riparo, estrema presa
invece d’una mesta, vergognosa resa.
XLVIII
Non sempre le sinapsi in piena forma
per cui allampanate nei triviali trivi e
completo il caos affastellato nella gran
lordura dei viali. Allora follie e pazzie
esondate e miglior sorte, codesta, per
ciascun dannato. L’incoscienza d’essere
o non essere nati, ecco risolta oppure
non risolta la questione estrema come
pure orripilante. Il termine della corsa
non corsa, all’istante ecco franta la
maglia, ben resecata da cesoia per cote
luccicante, stante fissa e delirante la
fuga, la fuga da galera-mondo verso
il nulla, il nulla eterno ed accecante.