Alessandro Sebastiano Porto – A Regular Poem, XVII

Estratto dal Canto XVII

Viviam tra le rovine
dei nostri antichi cuori, fatti legno,

e questa nostra pelle è fatta asfalto,

che risuona al passo del pellegrino

non so quale lamento

di morte e di scontento, e di declino.

Guarda queste mie mani,

che ‘l vento fende e strazia:

son fatte per carezze,

ma il Grecale ne fa dolore e rabbia,

le secca e taglia, come

il terreno senz’acqua, sotto il Sole.

Ma ad un migliore scopo il mio dolore

alzo, né posso finir di porgere

la mano a chi ne vuole.

Le mie giovani mani già invecchiano,

quando le bacia il vento,

ma ecco che quando chi amo le bacia,

non le ritraggo indietro

e trattengo le labbra sul mio male,

trattengo a me quel bene,

che trova luogo tra le mie rovine

e allora sono viva! Che sul nulla,

questo mio piccolo amore, prevale.

Lo so quanto nefasto il dì natale,

può parere a chi soffre

e a chi soffrire suol cercare senso

e non lo trova e il divino disegno

finge di scorger, dentro al suo perire.

Ma vivere guardando le caduche

cose, distoglie dalle opere belle,

che si fanno o son fatte,

come la donna, che bella, le rughe

guarda, più dei begl’occhi e del bel corpo

ancor roseo e fecondo.

Guardi tra queste tombe celestiali

quanta polvere alza il Grecale, in alto,

ma non scorgi le note,

il color delle scosse magnolie,

che il medesimo soffio

spira forte. Vitale.

Se ogni persona un fiore

avesse in cura, il mondo

sarebbe ricoperto d’una flora

così fitta e così viva, che il Sole

sorgente non vedremmo oltre le fronde.

Non è richiesto a pochi di far tanto,

ma a tutti noi quel poco,

che nuova luce al giorno

possa dare, e un futuro.

Qual è l’estremo ramo da cui il frutto

dall’uomo sarà colto?

Sarà quello rivolto alla tempesta,

nutrito di Grecale, ancora in vita,

mentre i rami assolati,

appassiti, per paura

avranno già finito di fruttare.

La fronda alla tempesta, invece, il pomo

avrà protetto dal vento fatale

e per l’uomo sarà questo il raccolto

ultimo e l’ultimo giorno di Sole.

Questo ramo ch’è scosso alla bufera

è l’artista, che al bello

sacrifica la quiete

e l’animo esanime ed immortale.

Quando la penna e il pennello e la carta

e poi la corda e il tasto,

saran tornati polvere e il nefasto

dì fatal sarà l’oggi,

nulla sarà rimasto dell’umano

passaggio sotto il cielo.

Ma quel giorno è ancor lungi

e ancora il caldo Grecale sospira

e porta in grembo brezza

e frescure e speranza

e colpisce e accarezza

questo madido fiore, che qui sorge.

Spinge e sospinge il bel petalo frale,

che si erige orgoglioso

tra i venti umani e le umane carcasse

e le immani correnti del progresso

e tra i fiori del male.

Trova ciò che ami. Dagli tanta cura,

che ogni uomo che ti vede,

sogni qualcosa di tanta bellezza

d’amare a quel modo e in quella natura.

La frescura di questo vento caldo

raffredderà le fiamme,

che consumano la bella stagione

e quando naturale,

a ogni uomo, sarà portare un fiore

sul palmo della mano,

l’umanità avrà il mondo per amore

e tutti avranno inteso

quale sospiro sussurrò il Grecale.”

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