Se per cadenza che non rallentava
la tua voce increspava l’acqua io non trovavo riva.
Dentro vane bracciate pativo l’affanno.
Cosa mi era utile e cosa mi uccideva
avevano lo stesso sfocato brillio.
*
Colpisce ora l’intensità dei pini,
l’immobile confronto con la sera.
Una perenne cattiva luce
si mischia al vero. Sono i pensieri a fabbricare
i mondi.
Lei siede vicina. Ha il respiro di antiche
tragedie e grandina sui vetri perché ha in sé
un castigo invernale.
Ma superiore a tutto fu il superfluo
non le discusse tavole della legge, fu il rovistare
quel tanto, quelle poche evenienze in soprassalto
per colpa mai dei vivi, solo retaggi. Era dunque
il male nostro a compiersi nell’animo,
dentro, nel fondo, a pesare come
millenni privi d’inventiva.
*
La famiglia rallentava l’aria.
E il rosso dei fiori
per un istante varcò la soglia,
portandosi dietro le ferite dei giardini
ed il malanno della reclusione.
Così non potei far finta di nulla
quando l’ombra color prugna della casa
si dilatò in cortesie di abbracci e l’alone
delle candele pervase la tavola di un
meravigliato lucore di teatro
e quando nella mezzanotte ubriaca
si aprirono i doni e nessuno ebbe la sua grazia
e il suo perdono, ma solo un campionario
di apatiche follie
quando tutti alzarono le coppe
per dirsi cose fracassate e scambiarsi
baci di fanghiglia e nausea. No, non potei
far finta di nulla.
Da tempo perciò di questo giorno
preferisco restare nel tuo letto
a cogliere la ricorrenza di sorpresa
e con tutte le scarpe andarmene all’inferno,
intatta nei miei anni senza festa.