Roberto Pazzi – Poesie da “Un giorno senza sera”

Certe volte mi ricordo di cose
che non ho mai visto,
di persone e linguaggi
che non ho mai conosciuto,
vedo passare nella mia stanza
notti che non ho vissuto
e per le strade avanzare con vele bianche
giornate senza nessuno dei vivi a bordo.
Cerco allora l’antro da cui sono uscite
tutte le cose che non sono mie:
forse qualcuno verrà a chiedermi,
come mai le viva io,
dovrò protestare che non ne so niente,
che non le ho rubate a nessuno.
Altre volte non ho paura,
mi pare di non dovermi difendere,
di dovermi salvare soltanto dalle cose mie:
sento che la mia prigione
è uno spazio elastico quanto la mia memoria
e che le uniche fughe sono queste.

*

L’ombra

Lettore, mi hai chiesto
di portarti con me,
ma dove vado io non puoi venire,
non c’è nessuno, sai,
nella mia pelle.
Vedi che non dò ombra,
per quale specchio passeremmo
in due?

*

Le nuvole

Con dita ossute il tempo m’intride
e lima a poco a poco,
la luce si fa più acuta nei miei occhi
ma scemano i profili delle cose,
vedo ormai solo al centro
l’anima e il fuoco della vita.
Scendo più giù, più giù,
sto meglio seduto che in piedi,
mi preparo a distendermi.
Passano le nuvole in cielo
dalla finestra aperta dell’estate,
e se ne vanno.
E sono le nuvole a tema libero
che da ragazzo fissavo sdraiato,
sugli argini del Po,
tremando all’idea del mio futuro.
Ecco sono io quel futuro,
e sa di miracolo la folla di nomi
che ho amato stringendone i corpi.
Nessuno rimane, è il prezzo di sognare
anche quel che avrebbe potuto essere
guardare insieme a te le nuvole,
e che invece hai capito come fermarti
per non passare mai dal mio cielo.

*

Il nome, la speranza

Che cosa è successo poi?
Perché siamo finiti qui?
I giorni ci guardano mesti,
padri delusi dei figli,
madri che altri figli avevano sognato,
ma li accarezzano
come bambini ancora.
Quel che alla tua vita è mancato
è troppo tardi per nominarlo
o ne tace il nome
la speranza, che non muore mai?

*

Alle mie ombre

È notte, le ombre che ho amato
sono ancora vive, dormono
nei loro letti lontane.
Dormono le mie ombre
e sognando i corpi ne rinforzano
l’oblio col ricordo vago
che anch’io divengo.
Chi ho amato?
Imparo a dimenticarlo a poco a poco,
aiutato dalla memoria di un nome
che si ripete in un altro,
dalle coincidenze di una data,
di un segno astrale.
Rigetta il corpo un organo estraneo,
a una smarrita identità
preferisce il nulla,
un’ombra cerca la luce
che l’ucciderà,
a una notte eterna preferisce
la vita breve di un amore.
All’alba potrei dissolvermi,
restano poche ore di sonno,
ma ora mi sveglierò
e morendo con me risorgerete tutte,
ombre amate ancora nella notte,
in una sola carne.

*

Grazie a La Nave di Teseo per la segnalazione

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