Flavia Teneriello – Inediti

Il mio vaticinare è sterile, oracoli
non hanno tana da pretendere

dal mio corpo. Eppure lo prendono
questo midollo che non irriga

nessun seme di voce dalle origini
sepolto nella terra. L’oracolo

singhiozza dalla mia bocca
parole monche di esito, verità

manchevoli di radice, richiede
un ascolto disatteso.

*

In mezzo al roveto la mora attende, rossiccia.
Colta così nel suo silenzioso stare
non si direbbe che muti.

Quel soffio un bambino scruta.
Ogni giorno nell’ora statica del riposo
col suo cestello vecchio e giallo
s’incammina per lo sterrato estivo che dalla casa
porta al paese. A metà strada sul ciglio
della gariga la mora lo attende.
Il suo sguardo ostinato e deluso dice:
è tardi per maturare. Frugando tra i rovi la manina ferita
cerca lo scurirsi dei frutti. Non trova.

Sulla via del ritorno dalla messa alla casa
un barlume nero si mostra.
Allora le dita si apprestano
dalla pianta alle labbra, spostano il ragno
dal frutto. Tra i denti si schiude dolce
il succo, macchia le mani.

In cima al roveto la mora veglia, nera.
Sotto il suo vigilare inviolato
un frutto ricresce.

*

Non sappiamo più
che colori abbiano le cose,
nei nostri passatempi da muli.
Il ceruleo del cielo ci è occluso.
Non ci offende gli occhi la luce che si tende
tra le nuvole; una seconda luce ci occhieggia
tra le mani. Nelle pareti

interne sbattono i versi
sordi e privi di appiglio.
L’uomo che mi sta di fronte
mi si dispiega davanti quando sono china
e la sua immagine fruga in me cercando
dove combaciare con le mie rappresentazioni.

La tua estetica delle cose
sfalda le forme,
conclude i miei sensi.

1 Comment

Rispondi