Edoardo Scipioni – Poesie

La strada che non t’accorge ti cuce di fiori gli strappi


La strada che non t’accorge ti cuce di fiori gli strappi,
il lago ritrae agli sguardi il verdetto
nelle spaziature che va decretando, e tu credi che fugga
invece ti rischiara il lamento quella
stesura in divenire consueta, ti riluce sulla schiena
che hai già voltato in ritardo.


Braccia disinvolte hai avuto, controlla, negli incontri saltati
all’ultimo, hanno dato luminescenza utile
ai prossimi preparativi.
Da qui comincia, per tergere di grazia
le screpolature degli isolamenti
nell’ottobre faticoso
delle labbra. Ti rimane quasi calcare il nome del tempo
che hai scambiato per caso
fra gli specchi, formulati onirici dei fondali.


Sbriciola le sottolineature, tocca sul vivo la corda, senza estrapolare.
Perché la piegatura che ti lascio sull’angolo
serva a facilitarti il lavoro immediato, e non a chiederti
chi altri ha avuto luce per leggere.

*

La notte scavalca d’improvviso la corda


La notte scavalca d’improvviso la corda,
sibila un’eccedenza di ieri nel saggiare
possibili giungere in punta d’immaginazione.
Sacrificati nelle proiezioni delle sagome
i riflessi a carezzare i contorni della sfera
snocciolano un continuum senza precedenti.
La serratura è costellata di tentazioni, e
la noia tratteggia nei punti d’intervallo
vincolandomi in un recinto di focolai.
Orienta, questo nero in adagio di fronde,
solo le tendenze delle sue pulsazioni.
Nondimeno si coronano invisibili da qui,
eoni di falcate luminose seminandomi
sempre trascurato in smanie d’effusioni.

*

Nell’ebbrezza, in allarme sulla terra


Nutrire la memoria nel punto di rottura, nel sentire lanciato
a sondare il carattere della seguente proda di stelle
senza incanto, nel lancinare ricevuto e vivo, nella tensione
rivolta al passaggio che immemore la smuove.
La cosa perduta è perduta nell’accavallarsi di molteplici, ombre
del nostro tempo invaghito e follemente
pervicace negli occhi infelici d’autoinflitte schermature, contro un varco
che beve luce per tutto il movimento, un eterno dopo l’altro.
Siamo riflessi nell’immagine riflessa
dell’acqua portata in dono, nella bolla opacizzata esternamente
di pietà che si vede privata della sete del prossimo.

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