Carolina Latini – Poesie

Il settimo giorno

Il silenzio scivola nelle fessure
di corpi assuefatti al clamore.

È rapido l’acuirsi dei sensi,
antenne tremule
pronte al collasso.

La perdita assume la forma
di un sonoro significato.

Incrinati appena dalla scoperta
del tempo, sostiamo:
piccoli vortici d’inerzia
abbandonati come in sogno,
a nuove luci rivificati.

Le nostre opere cedono e stridono,
la lingua si arrende
all’indicibile piano infinito.

Socchiudiamo gli occhi
ripiegati su noi stessi:
piccoli embrioni azzurri
con la schiena rivolta
alle stelle.

Soltanto l’aria percorre
la strada deserta.

*

Accordi

Avvicino il viso alle margherite
che mi crescono nel vaso.

Bianche cime screziate
di rosa acceso intessono
tacite conversazioni.

A quel colloquio mi tendo
gelosa di tanto riserbo,
come a volerne carpire
il segreto.

Ma i cento occhi gialli,
ubriachi di sole,
si inchinano frivoli
alle sole lusinghe del vento.

Così anch’io mi distendo,
offrendomi al giorno,
e del respiro
ascolto
la varia novella.

Alle mie spalle allora
sorridono i fiori.

*

Si scioglie al sole ogni singulto,
ogni selvaggia preghiera.
È l’era delle favole, di nuovo, quella
in cui s’accosta l’orecchio alle conchiglie:
scuoto le cime per liberare le chiome.
Io sono qui, ma prospero altrove
e sento che i denti si affilano
e le mani ritornano impassibili
alla taglia minuscola
di quando – onnipotenti – afferravano
briciole e sfamavano formiche.

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