Il settimo giorno
Il silenzio scivola nelle fessure
di corpi assuefatti al clamore.
È rapido l’acuirsi dei sensi,
antenne tremule
pronte al collasso.
La perdita assume la forma
di un sonoro significato.
Incrinati appena dalla scoperta
del tempo, sostiamo:
piccoli vortici d’inerzia
abbandonati come in sogno,
a nuove luci rivificati.
Le nostre opere cedono e stridono,
la lingua si arrende
all’indicibile piano infinito.
Socchiudiamo gli occhi
ripiegati su noi stessi:
piccoli embrioni azzurri
con la schiena rivolta
alle stelle.
Soltanto l’aria percorre
la strada deserta.
*
Accordi
Avvicino il viso alle margherite
che mi crescono nel vaso.
Bianche cime screziate
di rosa acceso intessono
tacite conversazioni.
A quel colloquio mi tendo
gelosa di tanto riserbo,
come a volerne carpire
il segreto.
Ma i cento occhi gialli,
ubriachi di sole,
si inchinano frivoli
alle sole lusinghe del vento.
Così anch’io mi distendo,
offrendomi al giorno,
e del respiro
ascolto
la varia novella.
Alle mie spalle allora
sorridono i fiori.
*
Si scioglie al sole ogni singulto,
ogni selvaggia preghiera.
È l’era delle favole, di nuovo, quella
in cui s’accosta l’orecchio alle conchiglie:
scuoto le cime per liberare le chiome.
Io sono qui, ma prospero altrove
e sento che i denti si affilano
e le mani ritornano impassibili
alla taglia minuscola
di quando – onnipotenti – afferravano
briciole e sfamavano formiche.