Ho voglia di pensarci come una sciarada
irrisolta a venire come i giorni
quand’è ancora pomeriggio acerbo.
*
Mi sento il cuore come uno spremiagrumi usato: quando restano, nella convessità della plastica, una serie di filamenti ancora interi,
come vescichette di un morbo non ancora esplose.
*
Vorrei una fede tonda come il bordo delle ciambelle, incrollabile come le estati coi fiori di sambuco, lenta come il tornare
– passarti le mani sulla schiena
perché sento le venature del tuo desiderio.
*
Mi piace persino l’angoscia che mi metti
una maledizione piccola
come concrezione: remora e
intralcio sottopelle, come i parassiti,
i tatuaggi in polvere di riso
che emergono – raffinatezza –
solo al calore estremo.
*
Le parole grandi come i gesti.
Questo rispecchiamento,
grafico o viscere.
Mi spaventi come dovessi amare me.
(A che serve guardare la luce che si screpola? A trovarvi geografie da ritoccare).
(A che serve, che il buio si veda?)