di Luca Ariano
Dopo lo straordinario successo di consensi e di critica di Colpa del mare e altri poemetti (Oèdipus, 2017), Bruno Di Pietro, sempre per lo stesso editore campano, dà alle stampe la raccolta Baie. Si tratta di una raccolta divisa in quattro sezioni in cui la prima In limine consta di una sola poesia che è già una dichiarazione di poetica dell’autore: “
non ci sono più siepi
ad escludere lo sguardo
e l’ultimo orizzonte
è ai tuoi piedi
(siedi
e guarda per terra)
Evidente la premessa filosofica, ma anche il riferimento alla siepe leopardiana dell’Infinito (Leopardi poeta é spesso presente in certi echi nell’opera del poeta napoletano), ma qui Di Pietro non guarda “l’infinito” oltre la siepe, ma abbassa lo sguardo e non trova siepi per gettare lo sguardo oltre “l’ultimo orizzonte” che si trova invece “ai tuoi piedi”. In questa poesia viene utilizzata la parentesi (presente in molti testi della raccolta) che cela spesso un dialogo, una risposta, un’invocazione interiore.
La seconda sezione Baie,che dà il titolo al libro,consta di 18 poesie (così come tutte le altre sezioni tranne la prima già citata) e subito Di Pietro ci fa comprendere l’importanza della parola non solo per un poeta o per chi scrive, ma anche rivolta ad un ipotetico lettore, alla società troppo spesso poco attenta alle parole e ai versi dei poeti:
in un altrove aereo o marino
forse nell’ultimo lembo di terra
al confine di ogni pensabile destino
ai margini sconfinati di un deserto
nell’incerto che inclina alla speranza
noi ci ritroveremo
allora sarà detta la parola giusta
quella che fugge la noia dell’indicibile
daremo altro nome a tutte le cose
liberi dalla paura di morire,
esaurito ogni dove, di esaurire ogni dire
Già in questi versi notiamo il tono della poesia di Di Pietro (per altro da sempre presente nella sua opera) con evidenti riferimenti filosofici, ma anche a poeti classici sia latini (Orazio, Ovidio, Catullo) che greci (si pensi a lirici greci come Alcione o Mimnermo) e ad una certa “pulizia” del verso che riprende molta poesia antica rendendola però attuale con una certa attenzione alla metrica, al dettato poetico e alla musicalità del verso che sono un tratto riconoscibile della poesia di Di Pietro.
In questa sezione il grande protagonista è il tempo che si sussegue in maniera impietosa come le stagioni e tocca al poeta coglierne gli aspetti più dolci e sensuali, ma anche crudeli:
l’autunno lo senti
prima nel cuore
poi nel colore
dei giorni
Si è detto di echi classici di poeti, ma anche di filosofi come Parmenide citato esplicitamente:
ornava la spiaggia
da cui si scorgeva l’acropoli di Elea
il giglio di mare:
aveva affrontato libeccio e maestrale
senza impallidire
allora noi bambini
si andava per canneti
a fare capanne improvvisate
e cerbottane
mangiavamo la sorba spontanea
e una radice dal sapore di liquirizia
era il tempo che la Porta
usciva dalla terra
Parmenide ci osservava
paterno
Come scritto in precedenza in questi versi è evidente come la classicità diventi senza tempo, letta e attualizzata come solo gli occhi dei poeti sanno cogliere, così come la natura che si configura come una sorta di avanguardia e di resistenza alle brutture degli uomini e dei secoli: “il giglio di mare: / aveva affrontato libeccio e maestrale senza impallidire […]”
La terza sezione Come se il sole calasse ad Oriente si apre con la poesia che dà il titolo alla sezione:
come se il sole
calasse ad Oriente
guardo tutto con la schiena
impaziente
Il poeta, in questa splendida metafora, osserva tutto di schiena nell’impazienza di cogliere ogni attimo di vita e in questa sezione sono molti i testi che parlano d’amore, della sua attesa, di gesti spesso non colti, sfiorati o sospesi tra sogno e realtà:
preso congedo dall’ io
l’uno di fronte all’altra
ci siamo dimessi
noi da noi stessi
dall’essere individui,
così senza riserve
senza residui,
se amore è perdita
e insieme acquisizione
(non c’è alcun calcolo
né spazio per la ragione)
L’amore, come ci indica il poeta, è “perdita” e “acquisizione” (ci ricorda quasi la follia di certi personaggi innamorati pazzi dei poeti cavallereschi) e la chiusa tra parentesi è – come scritto in precedenza – la risposta di una voce interiore (forse lo stesso poeta che parla tra sé?) che ci illumina sentenziando che “non c’è alcun calcolo / né spazio per la ragione”. L’amore non è solo follia, ma anche una “scienza bruna” fatta di alchimie che l’uomo deve sapere cogliere e comprendere anche ciecamente al buio di un attimo senza luna:
spegni per sempre la luna
il buio esalti la differenza
lasciami sulla bocca la presenza
della tua scienza bruna
Ed ecco che torna l’ascolto, questa volta non solo tramite la parola scritta, ma anche attraverso la voce e i gesti che possono aprire un universo di immagini e sentimenti di un poeta che sa ascoltare e comprendere la bellezza, non solo del mondo, ma pure di un fugace gesto amoroso che può diventare eterno:
amo ascoltare la tua bellezza
nella voce che è acqua e vento
sento il fresco profumo della brezza
l’odore del sale l’attesa dell’evento
L’ultima sezione Tanti quanti chicchi ha la granata già dal titolo colpisce per la forza e il vigore dell’immagine che ci riporta ad un gesto di morte come dai versi che danno il titolo alla sezione:
tanti quanti chicchi ha la granata
saranno i tuoi anni
e verranno tutti
a trovarti ogni giorno
mentre assapori i dolcissimi frutti
(e questo sarà l’unico ritorno)
Tutta questa ultima sezione è pervasa da un senso di morte, dal trascorrere del tempo, degli anni e come nella poesia sopra riportata, l’uomo deve far sempre i conti con la morte e con i momenti vissuti, ma nonostante l’aver terminato tutti i chicchi della granata ed essere alla resa finale, rimane la dolcezza di aver assaporato il dolcissimo frutto della vita e per il poeta “questo sarà l’unico ritorno”.
Numerose sono le poesie, come già accennato, legate alla morte, pur tenendo conto che anche lo stile del poeta in quest’ultima parte della raccolta muta e a tratti si fa sempre più epigrammatico, quasi gnomico con piccoli squarci ora lirici ora filosofici in cui si riflette sull’esistenza. Alcuni versi ci hanno fatto ricordare un grande poeta lucano (molto amato da Bruno di Pietro) quale Leonardo Sinisgalli che nella sua ultima produzione poetica si era avvicinato al verso breve (si pensi a Più vicino ai morti e alle imitazioni dell’Antologia palatina):
ai piedi della grande quercia
la morte sonnecchia
distratta fra le ghiande
si invecchia dolcemente
nelle case del paese
dove autunno rallenta
La poesia che chiude la raccolta è invece una riflessione sul non terminare l’esistenza muti ed annichiliti perché dopo aver vissuto una vita intensa in ogni suo aspetto: “difficile il silenzio / dopo un battito d’ali”.
Con Baie Bruno Di Pietro ci dona una raccolta originale con una voce allo stesso tempo classica, ma innovativa così lontana da certa poesia di maniera, formale o costruita che pervade il panorama italiano poetico. Il poeta napoletano affronta numerosi aspetti e tematiche che vanno colti a poco a poco lasciandoci sorpresi, stupiti, emozionati, convinti di aver assaporato i “chicchi” della poesia
L’ignoto è sempre se stesso -come tale va sempre trattato- anzi contrastato a mezzo dei versi. Versi strani, ma competenti a braccetto di una realtà cruda ed indefessa. Lo spazio/tempo ad ognuno di noi destinato, ben piccola cosa rispetto a quell’infinito dove taluno – in senso teologico forse- vorrebbe andare, magari sia pure per quell’Universale Giudizio pre-destinato. Amen od Alleluia il dilemma, restare per abbandonare sicuramente terre ed acque di codesta nostra celeste Terra. Ma quando raggiunti da colei che a morte ci chiama, inevitabile e conclusiva nostra sorte. Eccolo, in un sussurro , quell’amen di rimando.