a cura di Gianni Ruscio
Mi porto a casa il rumore della fabbrica
come un reduce porta dentro di sé
il ricordo della guerra.
Nella doccia ritrovo
lo stridere del metallo
il battere del martello
e tra i capelli ho sparsi i trucioli di un cristo di ferro.
Il tempo ciclo è importante più dell’anima,
la velocità è tutto
gli avanzamenti sono tutto
e il mio invecchiare è il niente,
io sono solo un meccanismo sostituibile.
Mi porto a casa l’odore della fabbrica
come un cane che ritorna da un tuffo nella fogna
e sul limitare penso spesso
al tempo perso là dentro
alla poesia di Prévert nel mio armadietto
e al sole che brucia le spalle
mentre alla mia pelle ci ha già pensato il solvente.
*
Lunedì rientro in fabbrica
dove si tornisce il ferro e l’acciaio,
roba grossa e pesante
diametri minuscoli e micromeccanica.
Lunedì riparte il lavoro
senza straordinari a tagliare il metallo
che c’è la crisi di settore
e intorno alle fabbriche
c’è una sorta di guerra.
Nel caldo da sembrare agosto
mi porterò un panino
e una mezza bottiglia di acqua
per non fare pausa
per dirmi che andrà tutto bene.
Lunedì al rientro in fabbrica
lascerò fuori dal portone
le tracce di una poesia e una bicicletta:
che mi guidino all’uscita
fino alla porta di casa.
*
Varcata la cancellata
siamo legionari che si conquistano il pane.
Le antinfortunistiche sono scudo
la chiave a brugola è gladio
la lima a denti grossi il pugnale dell’affondo.
Le nostre vite restano fuori
come cani fedeli
come l’amante che aspetta il suo turno.
Passiamo alla storia
con il nome inghiottito dall’azienda