a cura di Lorenzo Pataro
introduzione di Alberto Pellegatta
da Scenario (Taut, 2022)
Riccardo Benzina (Bari 1988) presenta una raccolta ruvida e frontale, pervasa da un ingegnoso humour nero, per dirla con Breton. Dall’attacco omerico («Sono giorni di pioggia ho camminato. Addio / Canneto e Montrone / e altre perse latitudini… sono qui perché ho sbagliato strada. I passi grigi / questi passi sono soli e senza via, fa lo spazio / come piroetta bianca disorienta») ai primi sentori mortiferi («una morte / che sta di dentro e non verso la fine. / E però non c’è resa in questa morte, / e vicina mi bisbiglia / e la comprendo»), il libro scava negli spazi più torbidi dell’esistenza, «fin dove si è potuto», fino nel «tuorlo delle cellule». Il realismo si distende tra boschi parlanti e «inadeguate dalie… solo aria e sole, buchi nel paesaggio»: «non / sappiamo. Se da un luogo interno viene il cielo / per cancellare le occasioni buone / col gerundio». L’attitudine drammaturgica spinge la dizione verso toni fastosi – uso delle preposizioni, ellissi di articoli e punti di domanda, virgole manieriste, verbi a fine frase, ridondanze. Ma all’autore non interessa essere scorrevole, semmai desidera concedere al lettore un tempo extra, perpendicolare al tempo: «dopo l’ennesimo aprile. // (Puoi finire / solo continuando.) // Ma non c’è nessun pericolo: / la terra non si muove, non più, le scosse / i monti contengono. Silenzio. Né sibilo né rombo. / Il sole non si muove, le case abbandonate dalla frana». Vengono alla mente Jacopone da Todi e la poesia del Dugento: «Madre io vorrei / scrivere il pensiero di un cavallo». Attraverso la cadenza e la varietà, il linguaggio offre una possibilità di senso anche a ciò che sembra averlo perso: «Giugno. Espirando, un’aria vecchia abbandonavo. Una traccia / e la sua cancellatura – e i sorrisi già sorrisi / piantati come semi in una terra / nera. / Una / elemosina di vento per le ali». Benzina si abbandona a una fiducia senza reti, a una coraggiosa aspettativa nella parola e nella sensibilità del lettore: «ho bisogno del tuo aiuto amico mio. // Tu sai farlo. Tu rendi questi fili scollegati / dal pianto al discorso / dal cuore all’altro cuore / con dedizione angelica: / è questo il tuo curriculum». Il volume implica il movimento, la sua cerimonia è il viaggio. Un libro denso e tripartito, piacevolmente sbilanciato, «forse un crampo, un accavallamento… la sparizione, in superficie d’acqua, del riflesso».
Le porte restano chiuse. Sono pesanti
e comprensibili al prossimo.
Se ti affacci al monte vedi una
luce cremisi che viene dalle pietre.
La fine del fiume la schiena che si rompe.
I luoghi che si offrono alle vie.
Un ponte lunghissimo unisce
le sabbie della riva all’altra riva.
Riprende i vecchi sogni
da dove si erano interrotti.
Dove si è soli
dove si matura fino al coro.
*
Vieni.
Lascia che fumi il polline. Senti le tracce
del mito nel trasloco?
È il migrare, si nasconde
un diamante sul fondo della gola.
Ferma.
I bambini in salotto si risvegliano.
Il mondo adesso è zitto:
il mondo una volta ha parlato e adesso è zitto.
Un bosco pensoso una pensione un carcere
nuovo di zecca, senza mosche attorno ai cassonetti
né facce, o passeggiate – troppa gente camminava solitaria
parlando. Sono andati e li rivedi dentro ai sogni,
seppure tu non voglia.
Sono ovunque. Forse temi l’imboscata, sono giorni
che ti guardi intorno
e però non trovi nulla, sei convinto che ci sia qualcosa in meno:
una eredità latente. O le case abbandonate,
o le case che abbandoneremo.
A chi tace tu prometti altro silenzio.
*
Cadono i nomi e si trattengono per terra. Così
non ha più senso lo scavo, sono già vuote le buche.
Un’apertura nel recinto, dal cortile
fino al bosco: queste piante sono un respiro.
Il cuore, un puntino intermittente.
Ma cosa si può dire su di noi. Che
se non rispondiamo all’appello
comunque siamo qui, presenti in sottofondo.
Ci siamo – e col tempo sarà questa
l’unica storia che vorremo raccontare.
*
Ho davanti il rosso dei freni, Casamassima
senza lettere, verso la rotonda
lì da dove inizia. La testa
si svuota come un pomeriggio
si riempie di buste e radici.
E il mondo è diviso, ripetuto. Non offre
se non forme divise, ripetute: sono
corpi nella resina
che addensa un criterio. Succede
che le scritture si allontanino
e corrano
come tori per le grotte e c’è qualcuno
che finge un dolore, o fa un verso
ma nessuno riesce a indovinare.
Chi per passatempo
si è giocato i campi a carte.
E ci siamo anche noi.
Canto non prezioso,
sangue non prezioso.
Lacrime passate tutte insieme.