a cura di Francesco Terracciano
Indovinello (cinque lettere)
Mio figlio ha la schiena un po’ torva
gli pende una gobba di troppo
cosce sbilenche, tignose
Incespica se dice il suo nome
Mio figlio ha denti piagati
cattiva la bocca, tignosa
(siamo pure andati da quel medico là come si chiama)
capelli ahilui ce ne ha pochi
Incespica se dice il suo nome
Mio figlio non prega in ginocchio
né in piedi né assiso su panca
colloquio col Dio non lo aggrada
a meno che lui non disponga
Sta spesso là in camera, spaio
(siamo pure andati da quel medico là come si chiama)
fa prove a mano scoperta
poi dopo, in salotto: «mammina
ho torva la schiena, cosce sbilenche
cattiva la bocca, tignosa
eccetera eccetera
peraltro ho solido il palmo
a che tu cali un decino
sia per un libello malmesso
sia per una coppa di vino».
Chi è mio figlio?
(Si inferisce che l’indovinello si conchiuda in una domanda)
Il sillabario (non me l’avessero mai donato)
Uno due tre
ho avuto in dono un sillabario
quattro cinque sei
conto le sillabe sulla punta del naso
sei sette otto
da sillabe, lemmi
da lemmi, stanze
nove dieci undici
penna drenata | mano inspirata
dodici tredici quattordici
combino do nomi rimetto
quindici sedici diciassette
«Signoria Vostra divulghi giammai contratto allegato»
diciotto diciannove venti
Il sillabario (non me l’avessero mai donato)
Su una relazione
A che servono i versi? (*** fa sempre domande di questo tipo)
risposi A un’architettura
Ora questa mia risposta non abbisognava di quegli alambicchi ‘traverso cui si impreziosiscono le siddette pubblicazioni dei novellisti
lei non ci credette (*** è agnostica sulle questioni intellettuali)
individuò tra i versi ogni parola e resezione compiuta le rimise in prosa
«Vedi?» mi disse.
«Che?» dissi io, che non volevo sottrarmi alle leggi del dialogo.
«Adesso hai una voce e non hai più una voce».
Per nostra disgrazia avevamo comprato un pennino, e lei se ne servì per far dell’interpunzione.
Cose dell’età
A vent’anni scrivevo poesie, come tutti
molavo al genio quel po’ di versi foggiato nell’intelletto
sprezzavo pertanto le Case Editrici e tutto il marasma dei
destini a accapigliarsi negli uomini di lettere
che begli accademici…!
che belle canaglie…!
Agivo come se – quanto ho letto sul come se…!
(suvvia, non divagare)
come se nient’altro si rinfocolasse al fluido stillare dei miei versi
elemosinavo mai denaro, eccetto che ai miei genitori
(ma quello era denaro dovuto)
Ancora sul «muori e diventa»
Senza ragione ogni cosa abbandona
il moto della fisiologia, impaludata
nell’esercizio di decifrazione; senza
ragione l’ambizioso
ambisce ai preludi della forma; senza ragione
si moltiplicano i dinieghi i pizzichi le punture;
attorno l’industria-gendarme
tutto permea e contagia
per ogni lingua che si pensa un’altra se ne vende
Quante risoluzioni
esercitate all’arte del risentimento
Data. Firma.