Silvia Rosa | Tutta la terra che ci resta

a cura di Gianni Ruscio
selezione di Lorenzo Pataro
da Tutta la terra che ci resta (Vydia, 2022)


Abbiamo fatto una magia – guarda
rimestato ogni angolo affinché rilucesse
come una moneta di platino
e poi abbiamo preso il cielo
con la punta delle nostre lingue
l’abbiamo lavorato in una scala di grigi
senza più toni caldi e orientamento
così adesso luccicano i nostri passi falsi
sotto il plumbeo che ci schianta,
privi di olfatto per non imbattere nell’odore
di sterco e di tana, bidimensionali e nitidi
ci duplichiamo a latere dell’immagine,
in un’asettica anestesia cromatica, dentro
una cuspide d’ombra, nuova di zecca

*

È una pioggia atona, rarefatta, questa
che smargina il lucore dell’alba
e dispone le ore in un acquario salmastro
dietro il riverbero della finestra.
Il petricore si solleva come un’eco,
le scarpe ammollate in pozzanghere
seccano adesso le suole di gomma
sul linoleum della stanza. È un’acqua
come una musica nel silenzio
che atterra. Dove finiscono le gocce
quando scivolano nei canali di scolo
della memoria e più giù, nella cassa toracica
lungo la cupola ardesia del diaframma?

*

I globi oculari rimpallano contro il monitor
su e giù, un beccheggio che dà il vomito
sullo sfondo smeriglio della notte, quando
al calore dei corpi si sostituisce l’anatomia
degli sguardi nella simulazione di un amplesso
cartoon: pupille dilatate all’acme dell’alienazione.
La perfezione è un idolo artico che ci rincuora,
e sia così, che l’alta risoluzione ci abbia in gloria
per sempre. Nell’alba rancida siamo pronti
a piccole processioni, compriamo a metà prezzo
un giorno in più, una nuova uniforme, una passione
di poco conto, che butteremo via a fine stagione,
un’occasione per sentirci oltre lo stallo, un sorriso
di circostanza e una voce cava: quanto rimbomba,
dall’urna cineraria dove l’abbiamo riposta
con i resti della disaffezione che circolano
invano, una moneta fuori corso a raccontarci
di un’epoca in cui aveva ancora senso toccarsi

*

In caso di necessità rompere il vetro:
uscire dal campo recettivo, seguire
le coordinate che conducono alla curva
dello stupore, dopo una rotazione di 360°
favorire l’orogenesi della spina dorsale
diritta, per meglio fissare il teorema della creazione,
allenare il terzo occhio, la ghiandola pineale,
il sesto senso, darsi alla melatonina in giuste
dosi, alleggerire le pupille vedette dal vizio
delle proiezioni, trafugare la frenesia degli amanti
e riprodurne gli aromi, dilatare il quotidiano
in campiture di bianchi perla, non scambiare
con nessun altro bene la scorza di protezione,
accettare l’imprinting di un animo bifido.
Soprattutto, individuare subito, per prima,
fra tutte le altre evenienze, l’uscita d’emergenza

*

Forse ci risveglieremo da un sonno
di confine, un fuoco nero arderà
allo zenit delle tenebre, respireremo
il fumo denso che ascende fino
al firmamento in volute e profezie,
chiederemo a un algoritmo la ragione
d’essere in avaria ostinata, così fragili,
e tutte le istruzioni per sfuggire al caso,
sopravvivremo anche alla banalità
dei giorni, all’addio volubile di pin
e password, arenati in qualche rada
della mente, cambieremo il filtro
delle lenti ma mai la prospettiva
aurea, staremo nell’assenza di peso
e gravità, estatici, una visione doppia
di noi stessi: da un lato vivi, dall’altro

[…]

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