a cura di Giovanna Frene
introduzione di Laura Pugno
da I nomi di Emanuele (ArcipelagoItaca, 2023; per la collana Lacustrine, diretta da Renata Morresi)
SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole
n°58
Impegnati e impegnate, perché quest’io è maschio e femmina insieme, e desidera fondamentalmente – la parola appare – una sorta di intricato incesto con sé stesso, con tutti i propri nomi non ancora nati, o forse morti prematuri: un gesto irreparabile, irreversibile che forse riuscirebbe a fissarlo finalmente in una forma… ma la sua vera natura è mutevole, sfuggente, shapeshifting, in primo e ultimo luogo nella lingua, come conferma nelle Note che chiudono il libro Adele Bardazzi: «Queste poesie sono state scritte in inglese e in italiano e così sono state lasciate per questa pubblicazione. Entrambe sono lingue distanti, una appresa lentamente e mai totalmente; l’altra è la lingua madre, lontana». E alla totalità mai totale della forma-lingua non ci si può sottrarre, in questa poesiaprosa dove il lavoro dell’individuazione è un lavoro del lutto che non è dato terminare, e dove l’io è una quieta caccia selvaggia, un corteo di fantasmi. O di dèi.
Emanuele infatti nell’etimologia è dio con noi, dio/dea immanente che traluce, fa caleidoscopio di sé stesso, si ricompone solo per un attimo nelle tessere specchiate o specchianti di cui sopra. Qui gli dèi prendono voli low cost, indossano maschere, si confondono con il sé e con altri e tra loro, sempre abbandonano il mondo, dove non è più concepibile una loro presenza non precaria. Sono fratelli, sorelle, androgini, ibridi, amici immaginari, amanti. Qualsiasi cosa li riguardi non è mai accaduta. La forma dell’incontro con tale folla muta – legione – è sempre quella del congedo, dove può affiorare anche l’horror, in fondo nient’altro che un congedo tra vita e morte non compiuto. Ma forse tra il sé vivo e quello morto potrà darsi, come nella tradizione altomedievale, un patto di saluto, in cui un revenant tornerà, manderà un segno, per dire cosa c’è dall’altra parte? Gentile e implacabile come se cancellasse una porta da un muro, questa poesia sussurra: no.
dalla Postfazione, di Laura Pugno
Chi è Emanuele?
So who is Emanuele and what is he doing here? He left together with his friend after a few days. We kept in touch, writing empty postcards now and then, but the mail service isn’t very good here. No one ever told him that his name is Emanuele. Unaware of his past and the life he was now living, he enjoyed reading, writing, eating and all those human things that keep us busy. He felt he had something, but was never able to grip it fully, to own it. I am different, he kept saying to his lovers; but why and how profound his differences were never quite reached him, leaving him days of shyness, others of arrogance, and more of disappointment. He knew, though, he was a stranger.
Emanuele di mattina presto
Quando dopo un lungo weekend l’ospite lascia casa, senza rimanere fino a dopo pranzo, ma per educazione si sveglia prima di te, e riparte dopo solo un caffè, allora una strana frenesia di felicità arriva alle mani – così mi sento quando te ne vai, ripensando che te ne sei andato ieri senza lasciare troppa polvere dietro di te, ma solo una bustina di zafferano che nostra madre ci comprava quando tu avevi fretta di uscire dal supermercato e di morire, convincendoci che stare morti è il vero affare.
Emanuele under the wisteria
What language should I speak tonight when I meet him? Come pronuncerà il mio nome?
English is sitting under the peach tree at my grandparents’ countryside house, which now belongs to some other family I do not know, with the heat behind my ears, beneath my tongue, and the cicadas chattering out of sight, but audibly – which is enough for me. English is being able to sit there, unseen, unknown, experiencing the freedom and frustration of someone who does not belong there and never will. Italian brings with it all the words I can now hear as I sit beneath the peach tree, words that come from inside my grandparents’ house, you could say they are speaking about Emanuele and how to tell me about him; the words come from my grandparents and their family, which is also my family – we speak the same language and we share the same grief, although it should not be the same grief. It is a grief for which I need another language – not ours – and, above all, distance. But this is another story. Let me tell you the beginning.
I am now sitting under the wisteria pergola waiting for Emanuele. It’s all flourished and there are plenty of hives above my head. Everyone claims to be Emanuele, they stand in line throughout the whole garden, even beyond the limonaia almost up to the old orto. I can see them all. After a few hours waiting in the heat one of them moves on the side and shouts «Siamo tutti Emanuele!»; to these words I ask Arben, who has seen more than I think, to remove this individual, he takes him from the shirt collar as you would pick up a small dog from the neck. I don’t need to know what Arben does to the dog. The others patiently keep waiting their turn although they know their name is not Emanuele, but they rely on the fact that Adele might not really know either and might confuse one of them for Emanuele. They do not know that Adele has his watch in her pocket and is looking at all their wrists, so far all too wide. When they lie by pronouncing their name, she shakes the hives so that the wide wrists can die. For this reason, her hands are now red.
Il coinquilino di Emanuele
Vivi a Barcellona da qualche mese e al telefono mi dici le parole che hai imparato con il whisky notturno insieme al tuo nuovo coinquilino, si chiama Roberto, ma non è italiano, e vuole fare anche lui lo scrittore. Ti piace quello che ti ha fatto leggere, ma è distante dalla tua ricerca del “mot juste” che tu vuoi trattenere con la penna che tieni sempre nella tasca interna della giacca verde bottiglia che ti ho regalato a Harlem. A entrambi piace passare le ore della notte insieme, ad intervalli di piccoli liquori, senza donne a occupare il vostro spazio; scrivete, uno al tavolo della cucina, e uno sul tavolino vicino alla finestra che guarda i muri del condominio di fronte da dove ogni tanto nella sera intravedi ombre seminude. Entrambi non conoscete questa nuova città di ragazze da gambe lunghe lentigginose, ma Roberto ne conosce la lingua. Mi proclami le nuove parole che ti ha insegnato: labbra, vaso di fiori, luna, pioggia, orizzonte, lentamente (parola, mi ripeti, fondamentale adesso), odore, occhi verdi, ingoiare (di cui sai la prima e la seconda persona singolare), ombra, ombrelloni, dolcemente, sigaretta in bocca e con paura, gatto, voce di donna, orecchio, sogno, neve, gambe solitarie e aperte, lontano, eretto e presente. Nel tenere la cornetta del telefono tra il gomito e l’orecchio sinistro, ne hai dimenticate alcune: vento, alba, immagini, scrivere, solitudine, morte e poesia – ti fermi qui, mentre la luna si gonfia tra i tuoi capelli, ti sento stare in bilico in questa posizione, con le labbra a cuore screpolate dal vento che spinge la pioggia dentro il tuo corpo eretto che stanotte non riposerà fino a quando la penna sarà tenuta dritta nella tua mano, con quella impazienza di chi scrive negli anni dell’energia e legge tremando e tenendosi stretto nella mano. Anche se non me lo dici, so che sarà poi diverso, con un piccolo sollievo arriverà la ragazza del piano di sotto, e lì tra gli odori di arance vecchie e la sua schiena, a pancia in giù e con le natiche appena sollevate per te, troverai un vuoto dopo l’orgasmo dove poterti riflettere per un momento.
Emanuele ancora a Barcellona
(…)
«Questa sarà una storia del terrore.
Ma non sembrerà. Non sembrerà perché sono io quella che la racconta.
Sono io a parlare, e quindi non sembrerà.
Ma in fondo è la storia di un crimine atroce».
A voce alta Roberto ci ripete le parole della donna dagli occhi verdi senza corpo che in preda a uno dei suoi momenti aveva pronunciato con i piedi sopra al tavolo o le mani aperte alzate fino a toccare il soffitto a travi del bar prima di essere portata fuori da tre uomini, che non sono mai ritornati. Loro avevano ucciso qualcosa dentro di lei, ma cosa avesse ucciso lei non lo sappiamo. Uno scarafaggio scendendo dal motorino, un ricordo, un moscerino, una tarma accaldata, un fratello, o l’amore per sé stessa. Adesso Emanuele ascolta Roberto o guarda me in silenzio.
In un’altra stanza i tre uomini stanno ancora spingendo tutte le dita verso il vuoto e gli occhi verdi senza corpo brillano.
(…)
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* BUONA PASQUA * ❤️ * 2023 A.D. * 💕 *
Wishing-You & Family: PEACE & HAPPINESS
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