Cara amica, la patria è la lingua | Lettere di Cristina Campo ad Alejandra Pizarnik

a cura di Lorenzo Pataro
da Cara amica, la patria è la lingua. Lettere di Cristina Campo ad Alejandra Pizarnik. 1963-1970 (edizioni Pangea/Magog, 2023 )
traduzione di Stefanie Golish


Nota del curatore

Fu tramite l’edizione tedesca dei diari di Alejandra Pizarnik che scoprii il legame tra la poetessa argentina di origine ebrea e Cristina Campo. Il carteggio è custodito negli archivi della Princeton University, insieme al resto del lascito letterario della Pizarnik. Immediatamente, intuii i tratti di una relazione intensa, ma complessa e non priva di una forte tensione di fondo. Nella diversità. le due donne si riconoscono: Cristina scopre in Alejandra la sua fisicità repressa, Alejandra in Cristina la propria spiritualità sommersa.
Le due donne si incontrarono a Parigi, probabilmente nel 1962. L’epistolario conta una trentina di lettere di Cristina Campo – non ci sono pervenute quelle della Pizarnik – scritte in francese, a mano, dal gennaio del 1963 al 7 aprile 1970.
Nel suo diario, Alejandra Pizarnik parla chiaramente del rapporto con Cristina Campo. Soprattutto nel periodo tra il 1964 e il 1967, numerose annotazioni riguardanti il loro scambio epistolare provano con quanta intensità e conflittualità Alejandra vivesse quel rapporto: “Strana relazione con C.C…Desidero che non mi scriva più, affinché io possa soffrire. Ossia: perché lei sappia che io soffro a causa del suo silenzio”. E poi: “Lettera di Cristina. Mi fa paura. Come se mi avesse scritto un angelo”. Nelle lettere di Cristina, Alejandra ravvisa la natura sfuggente, intoccabile della sua interlocutrice: “Ora non sono più arrabbiata con C. Ciò che assolutamente non posso capire: perché non ho letto le sue lettere con uno sguardo più critico? Ma queste lettere non m’interessano. C. non esiste, se non soltanto nella fantasia, è un personaggio inventato che mi scambia per qualcun altro quando parla, perché dice delle cose che non mi aspettavo. Soprattutto non ho notato la sua freddezza”.
Nel dicembre del 1968 la poetessa riassume in questo modo il “senso” del suo legame con la Campo: “Credo che la mia corrispondenza con C.C mi abbia dato molto, perché mi ha costretto a rivolgermi a lei in modo chiaro. È, la chiarezza, una virtù? Non so quali siano le virtù. Io conosco soltanto desideri”.
Per quanto concerne le datazioni, ove non sono presenti nelle epistole o incomplete, ci si è orientati sulla base delle concordanze con i diari della Pizarnik e con gli altri epistolari campiani.

Stefanie Golish


18, luglio, 1963

Mia carissima Alejandra,
ha il diritto di non credermi: soltanto stamani si sono verificate tutte le condizioni necessarie per copiare l’ “Omaggio a Borges”. Risultato: l’ho riscritto interamente. Il che è la prova (l’ha detto Borges stesso) che ogni scadenza è una lezione. Rimane il problema oggettivo: è davvero troppo tardi? Sono già usciti i “Cahiers de l’Herne”? Mi dispiacerebbe aver deluso la Sua attesa. (In questo caso, mi rimandi il manoscritto, che resta in ogni caso Suo, lo farò uscire qui.) Per me, personalmente, nessun dispiacere, naturalmente. Mi affretterò a far partire questa lettera. Non ho neanche copiato il nuovo Borges per la paura di perdere il prossimo pullman per Roma. Credo che il traduttore lo comprenderà perfettamente comunque. Lei avrà già intuito che il servizio postale qui comporta tutti i pericoli, le incertezze, le avventure, buone o cattive, del tempo delle diligenze. Mi scriva, se può, espresso: è l’unica parola capace di far smuovere i postini dai loro posti al sole o dalla bettola. (Questo silenzio mi rende triste e un poco irrequieta). Ciò che Le ho appena detto a proposito di Borges, Le spiegherà il mio stato d’animo delle ultime settimane. Dopo un periodo di letargo, sono caduta in una odiosa depressione. Non riuscivo ad alzarmi dal letto, mi sembrava di cadere sul pavimento quando mi addormentavo ecc. Ora tutto ciò è passato. Rimane una grande stanchezza, magrezza, mal di testa ecc. Basta però con queste piccole miserie.
Mi scriva, cara Alejandra. Qualcuno, credo la contessa Alexandrine Tolstoj, diceva che il solo mezzo per ricevere una lettera che ritarda è di scriverne una alla persona che non scrive. E’ vero?

L’abbraccio dolcemente Cristina

P.S.: Il “Ghignagatto” è, come Lei avrà capito, il “Cheshire cat” di Alice nel paese delle meraviglie. Questo termine vuol dire, in Italiano, “gatto che sogghigna”.

+

9 gennaio 64

Mia carissima amica,
sia, un’altra volta, generosa. Mi scriva nel mio silenzio. Cammino in una valle oscura – le mie mani spesso tremano – esaurimento nervoso? (Gli anni passano tra una angoscia e l’altra. Vorrei dirLe molte cose. Ma come fare? Bisogna aver cura di sé, fare miracoli: mangiare per esempio, dormire, svegliarsi. Perfino respirare – mi comprende? Le voglio bene, Le sono grata per molte cose. Spero che tutto questo si avveri, se Dio vuole. Le sue lettere sarebbero cose vive, delle foglie su queste acque oscure.

La Sua amica Cristina

Mi si richiede l’Omaggio a Borges. Ne possiede una copia? (Dominique [de Roux]
ritarda). Infine, è così difficile tenere le relazioni. Ho dei terribili mal di testa, delle
grandi nausee, tutto si annebbia.

+

Roma, Pasqua 1964

Mia cara amica, è da tanto tempo – un mese forse, o più, forse – che Le scrivo così come si parla nel sogno: senza poter aprire la bocca e pronunciare le parole. Vivo un momento piuttosto cupo (lo si chiama “esaurimento nervoso”, “break-down” ecc. Sembra che soltanto Murena non si faccia ingannare). Posso solo pregarLa di attendere il mio risveglio (spero): e di essere felice nel frattempo, con abbandono, come un bambino umile e fiero che non ha bisogno di nessuno per essere felice, che non permette che qualcuno gli rovini la sua felicità.

Teneramente la Sua
Cristina

+

Venerdì, (Gennaio), 1965

Mia cara Alejandra,
mi perdoni se il Natale è trascorso senza una parola da parte mia. Lei mi ha donato il Suo libro più bello. Le assicuro che poche delle cose arrivate a me in quei giorni sono state accolte con altrettanta dolcezza.
La notte di Natale, Alejandra, ho perduto (o trovato) mia madre. Era mezzanotte e mezzo, tutte le campane di Roma suonavano. È degno di lei, mia piccola principessa umile e altezzosa. Da 10 giorni era muta. Anche questo è degno di lei. “Non parlava mai, mai di sé” dice Elémire, il quale non l’ha lasciata nemmeno un istante, né prima, né dopo questa ora d’Avvento. Mio padre è peggiorato, molto, naturalmente. Tutto questo è difficile da spiegare, da pensare. Mi perdoni.

L’abbraccio.
Sua Cristina

+

[Estate], 1965
La Tigre assenza
A Alejandra Pizarnik

Ahi che la tigre
la Tigre assenza
o amati
ha tutto divorato
di questo volto,
rivolto
a voi: la bocca sola
pura,
prega ancora
voi: di pregare ancora
perché la Tigre,
la Tigre
– assenza,
o amati,
non divori la bocca
e la preghiera…


Rispondi

Scopri di più da Inverso - Giornale di poesia

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading