Patrizia Vicinelli | La nott’e’l giorno

a cura di Giovanna Frene
pubblichiamo oggi due lunghi testi tratti da Non sempre ricordano (1985), libro raccolto nella recentissima pubblicazione in volume delle opere complete di Patrizia Vicinelli, La nott’e’l giorno. L’opera poetica, cura di Roberta Bisogno e Fabio Orecchini (Argo Libri – Collana Telee, febbraio 2024). Ringraziamo Fabio Orecchini per la gentile concessione.


SPOSTAMENTI #114
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole


Parte sesta

C’era una volta in Marocco”
ovvero, “Morocco Made”

[...] Di questi a centinaia dialoghi people
ricca o senza un soldo
stazionano prendono il sole
ai caffè
bevono spremute
d’aranci e tè alla menta
freaks omosessuali indigeni
sdraiati al sole del mattino
mangiando focacce e cake
burro e miele spalmato
cercano di cucire delle storie
per la loro vita
i mercati che se li vedono passeggiare
inghiottendo le verdure e i frutti
e tutti i pesci del mondo
gli occhi abituati al grigio,
ma ragazzi, (i mari sono sempre due),
i fiori sono tutti viola e i colori
violenti
intenso è il blu del cielo
Roberto a Casablanca è stato il primo
a morire,
è santo morire se si stava cercando
qualcosa
“la vita vale giusto questo”,
ridono divertiti i venditori
e sanno di potere chiedere di più
perché quelli alzano il prezzo col
desiderio degli occhi.
Strana infrastruttura culturale, da
una parte e dall’altra, credere
di possedere di meno.
Il tempo ha di nuovo accerchiato 
bisogna spingerlo repousser le temps
imprimatur for the memory: stra-fattura
di una sera tardi, sigaretta tombée, 
guardo di sotto di fronte al secondo livello
con un cuneo di materia psichica vivente
passare dentro passare attraverso,
non ci si è inoltrati troppo in là
dalla strada che ci compete, dunque…)
È tutto qui? si chiese Sucri, 
entrate al café central, ogni giorno,
il solito pacco di scritti sotto il braccio,
ridere consumando, kess elmà, per sposarsi
solo per il trucco ci vogliono
centocinquanta dyran,
ma il était misogìne piuttosto,
dopo l’infanzia a guardare il mare
senza alcuna protesta – cosa vi pesco,
una murena, un dentice? quello che vuoi, 
straniero –   poi faccio una donna
di sabbia e me la chiavo, poi trovo
un albero marcito di pioggia e lo solco,
lo scavo,
lo stesso con un melone grosso e troppo
maturo, poi una capra, questo
fino a vent’anni, capisci, solo
jean jenet poteva darmi la dimensione,
un sesso obbligato dentro la natura,
le donne vanno e vengono e sono madonne
intoccabili,
dunque, quelle testuggini enormi dentro
il fiume che procedeva ad anse, 
scansando gli ostacoli,
lento e fra prati verdi,
fra Ceuta e Tetuan, un miraggio pieno di luce
parallelo a un acido, buoi sui prati,
colline immobili, da un lato il fiume,
dall’altro mare e anemoni di mare e 
ricci di mare e blu selvaggio
che colpisce la vista e la rende forte,
in tutte quelle onde di luce, piangeva
su quell’autobus entrando in uno spazio così vasto e
illuminato, da allora
c’era tempo per pensare e per non
pensare più – pas penser trop –
consigliano, scendi fino al deserto, disse,
i colori si fanno roventi, le case
si abbassano al suolo,
scendi fino ai gin ballerini del deserto,
dove i chicchi di sabbia rullano al vento,
e passeri senza ali cinguettano, 
dove l’usura crea montagne crepate
e le riduce in briciole,
dove i solchi delle carovane di camions
durano il tempo di una notte

Parte settima

“H. is my life”
“Un intermezzo storico”

La prima volta fu a Firenze, e restò l’unica. Il sangue
allora era limpido
batteva sul cuore mai provato
pochi gli adepti e neofiti paurosi
scoprire e cogliere il senso.
Nella casa buia, così under-ground,
la luce è accesa anche di giorno
finestre schermate da veli orientali
e sbarrate, semi-interrato, adatta
ai fuggitivi, disse, pagata cara,
rassicurante cornice architettonica,
mitteleuropa aggiunse il polacco,
sudare nel letto madido dodici ore
ininterrotte “le mie gambe, señor,
le mie gambe!” dormi?
DORMI ANCORA? Un’agonia che puzza,
nel noto arroccamento polvere
sullo specchio sui muri macchie
di cappuccino fino al soffitto, ma
champagne in frigo, caviale di Ostia
sandwich – prosciutto grazie, crudo,
grazie – tramezzini
NON HO FAME
NON HO FAME
NON HO FAME

Volevano andare tutti là, lontano
dalle chiazze sui materassi fetidi
di sudore e sangue, questo giudizio che
ci diamo conformi all’apocalisse,
basta disse centrato un punto del silenzio
la perfetta assenza gettando un urlo
che fu udito fino al cielo
come una meditazione riuscita.
Oh, lord, want you buy me a color tv…
chant d’amour
genet lo sa
voglio cadere dentro il sole
che non resti traccia
le motivazioni profonde, sì,
d’amore.
“racconterò tutto” le tengo nella coppa
di cristallo le perle da regalarti.
Formula pressappoco così: apriti porta
al di là del regno delle ombre.
(era pieno come un maiale farcito)
– aveva pensato di tenere tutto per sé –.
Nel ghiaccio, arrivato con l’idea
di navigare, un aquilone è sufficiente
per questo, era un uomo
che aveva dimenticato le sue origini
rincorse soltanto i suoi desideri,
come egiziani guidati dal delfino
sulla barca del serpente con l’uovo
a poppa, nelle acque gelide del fiume
sotterraneo con l’oro del trucco sulla mente,
il sogno che gli aveva rivelato al morto
da ricordare,
“NESSUN PRIVILEGIO”, avrebbe voluto 
dei segni più consistenti
“non indietreggiare” disse la ragazza
ad Orfeo, macché sacro monte,
Elizabeth queen ne ha condannati parecchi
anche quest’anno.
COME NON SALVARSI? pensò sperando
di dilatare le pupille per vedere
la sua immagine appoggiata alle immagini
del tempo remoto dai bordi rovinati
quando un’eclisse risucchiò
quel pensiero abnorme
di tutti quei lui o sé stesso
che si rincorrevano all’infinito
aveva visto I SUOI CONTORNI DIFFONDERSI
“bisogna andare” disse l’amico
“proseguiamo”
entrarono a bere un caffè,
e si corresse dicendo: “ave maria oh”
a quella donna che udendolo
fermò il suo passo ecc.
“NO, bel cazzo di cavaliere”
Arrivarono a Gerusalemme che s’era
appena fatto giorno
(fra il cadere rovinoso di mille torri,
mentre dall’altra parte o vicino
Babele restava intatta e urlante).
Era una transizione epica.
Sua madre avrebbe voluto una misericordia
più generosa ma gli morì dal corpo
all’anima alla stessa speranza per sé,
Marcel che la sosteneva, registrava tutto
e metteva in cassaforte i racconti,
ma chi non cercò di innalzare
il proprio dio miti alcuni come
cercavano di fuggire quando accadde
in altri seduti a cerchio sui resti del fuoco
in un boschetto tondo
dove già ce ne furono di uccisi
aleggia il sapore della vendetta
e del tradimento.
Nella lenta osmosi che faceva prevedere
un lungo viaggio,
anche arrampicandosi a lui
non gli riusciva di progredire,
gridò, inzuppata di sangue e sherry:
“NON NE HAI ABBASTANZA?”
molti l’udivano, schiavi mori alsaziani
pieni di borgogna, tirolesi in campeggio,
di una pulizia mai vista
giocatori di carte con la pistola carica
“ABBRACCIATEVI O SPARERÒ I SETTE COLPI
CHE MI SONO RIMASTI”.
Era proprio una gran riunione, come
un’altra volta all’angolo del deserto,
mariani ubriachi amleto e marylin
e altri che torneranno fuori
(anche i pirati) davano gentilmente
memoria del loro fulgido passaggio
– eravamo e siamo inseguiti da un’orda
di quelli che vogliono sapere a tutti i costi
e non sapranno –
oh, cielo! col ritornello della luce
che scivola ogni giorno dalla mia finestra
sul mondo, 
lo guardavo incandescente rinascere.
Lo fece calare sperando che la putrefazione
fosse finita, s’incamminò.
Là c’è gente che s’è mai neppur sognata
– dirò tutto dirò tutto – se c’è bisogno
(non mi torturi più maresciallo non so nulla
non so nulla, tanto non parlo, non parlo)
“occorre acqua calda?”
“occorre sale,”
“occorre incenso,?”
“OCCORRE un buon corridore?”[...]

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