Gianni Ruscio | Alchimia di echi colori e suoni

di Anila Hanxhari                                                per Luna Vibra Corpo (Il Convivio, 2023)


Con questa raccolta Luna Vibra Corpo, divisa in una triade; Con-torci-menti, Musicoterapia e Maree in-continenti, Gianni Ruscio, ci presenta una poetica dove sposta l’asse immagine – ritmo e dove ogni testo si struttura secondo un percorso emotivo-espositivo, tocca i punti più complessi della vita e dei risvolti dell’anima, in un bagliore di ritmo e luna e musica a lui congeniali.

La poesia di Gianni Ruscio spiazza per i suoi contorcimenti di parole, parole girate, agitate come un tornado, “come una lama del bisturi che mi ritagliava già da allora”. “Ero un colpo luminoso, scandito a morte da quel ritmo”. In questo suono ridondante nel corpo, in questa contorsione, di corpi, di parole, di materia e luce cerca la via della compassione, della commozione.  La sua poesia è un corpo presente, che cerca di abbracciare ciò che evapora, e in quella ninna nanna appassionante, devozione è protezione che incide e fa i conti con l’origine e la colpa, con un quotidiano dove “ogni tonfo nel lavandino è una luminescenza della sua fronte”, una poesia in divenire, atto dell’atto, come se ogni incipit o conclusione togliesse loro il velo dell’usura, dell’ovvietà, della convenzionale attribuzione di senso, e desse a ogni sillaba smalto e vigore.

La poesia deve scuotere, e la poesia di Gianni nasce dall’urgenza e la necessità di fare un viaggio nel suo corpo e nel corpo dell’amata, per poi dirci che “sarò una cosa sola con il mio digiuno”, “resuscita nella sua pasqua secolare, ed è primavera”.

Questa alchimia di echi colori e suoni, questa energia aggregante, mentre illumina la forma immaginativa delle parole, rende la scrittura in versi distesa ed eloquente come un campione di raffinata arte musicale: ogni poesia si risolve in un ritmo di ciò che l’Autore ha visto, sentito e che consegna poi non solo alle nostre orecchie, ma anche alla nostra mente, “i punti cardinali per non perdere la fede” la sua “stella-persona” e mentre cerca punti di riferimento e “il suo orientamento religioso va verso il macello” quella “luce proveniente dall’altrove millenario” diventa “vento nel cranio, sapore di miele, sangue inespresso, e cenere.”

La parola, quale elemento primordiale, la parola in questo caso è tutto. È come se l’Autore la venisse scoprendo di volta in volta, riga dopo riga, in un rituale d’iniziazione e di conquista. 

È una parola percepita con le viscere, prima che con la ragione, provata sulla pelle come gocce d’acqua sorgiva prima che nella mente e nelle griglie concettuali di un ritmo argomentante, “come va ribollendo questa luna nel mare/ dal bulbo noi saremo miserabile attesa/ senza ordine alcuno”.

Una parola che stravolge, una parola che si propone come pura immagine, in una sequenza di assonanze e rimandi, una parola che allude sempre a un’alterità, “c’è sempre qualcuno che sa meglio/ di me cosa sia la reciprocità, il volto del cosmo e la rilegatura dei lembi/ che mai più potranno combaciare”.

Questa parola rivisitata rende luminoso il suo modo di scrivere, si chiede di questo “paese che chiamiamo memoria, che era il cuore che gonfiava le pareti oltre la sua bocca, che temeva il ristagno, oltre le mani che preparavano il pane”.  È una parola che si presenta alla sua particolare sensibilità in tutto lo splendore arcaico della “bocca di brace”,  “vede riemergere  la sua lingua antica” in una sorta di eco che rammenta l’effetto di ricordanza di cui parlano per un verso Leopardi, per un altro Platone, delle prime volte che l’orecchio le ha udite e il cuore le ha cullate, parole che si snocciolano in una continua “annunciazione” e si ricompongono “in modo da eludere la morte” in quella struggente poesia dedicata ai genitori, “osservavo i piedi di mia madre sradicarsi” o ancora “le mani di mia madre/ fendevano il vortice della superficie/ nel groviglio/ inconsistente dei viali/ i viali che mio padre coltivava” , “storia finita”.

L’autore ci ricorda che “ognuno è una missione/ una messa e che l’altrove/ non è che dentro di noi”, “a farci essere pane per gli altri a farci essere pietà”.


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