a cura di Ilaria Palomba
Ricordare è riordinare
segno a segno, fare
regno dell’inessenziale,
estinto e poi tornato.
Ricordare te è affilare,
taglio a taglio, fare pegno
del dolore in cambio
della regola che tu sei
nel passato. Scordarmi
di te sarebbe, pezzo a
pezzo, esser viva in vie
distorte, uscire dal senno,
uscire dal senso senza
passare per la morte.
*
Quanta nobiltà agita il mare,
che tutto digerisce e feconda
in amniotiche onde, e scuote
fronde di possibilità, di attese
cifrate e voci di gole – e bagna
il tuo tornare accorato alle
sponde, quando lanci gli occhi
oltre il fondale che stagna e
cerchi i figli di un’altra umanità.
*
Posso immaginarti
mentre chiami a raccolta
lo sfacelo di eventi, gli
anni avversi che ti fanno
schiera. Fai il segno della
caduta, quando scuoti
la minuscola mano, in
quel gesto inconsueto
di salvare qualcosa dal
vento, forse un filo,
un fiato, lo stento di
un’anima pura.
*
Nella tua stanzetta hai
disegnato cerchi concentrici,
gesti di piccolo dolore,
passi distratti da minuscole
distruzioni. Hai affilato
spigoli fra la cucina e la
camera da letto, girato
e rigirato l’angolo per
un po’ di latte caldo che
passa meglio l’inverno.
Nella tua stanzetta hai
scavato tane con prove
di collane, hai scritto
memoriali sul da fare,
ascoltato e pregato i
tuoi maestri, tu che vivi
di gesti minimi e non protesti.
*
Ti ho cercato nel fondo di ogni
cosa, senza sapere che tu sei
la cima e ti incanti nel cielo,
altissima, di luce affissa.
Tu che sei fatta di ogni sospiro,
di ogni spavento, di ogni
battito d’ali impazzito nella
foresta. Tu che sei il mondo
che si desta, e ridesti in me
tutte le voci, e mi parli piano,
attenta a non perdere petali
se mi sfiori.