Deidda, Palomba, Vetere | Sciami #2

di Giorgia DeiddaIlaria PalombaEmilia Vetere
n.d.r. la terza parte del poema uscirà a maggio 2022
la fotografia di Ilaria Palomba è stata scattata da Dino Ignani; quella di Emilia Vetere da Giulio Irving


Sentivo il rumore del vetro
che trema prima della scossa.
Morsa di nuovo dalla bestia;
le ossa che si spaccano;
la tempesta.

Non tutti ne escono vivi.
Si sta lì, si contano i resti.
A insistere sulle macerie;
a voltarsi, a guardare altrove.

*

Sentivo l’afrore del ferro,
l’abbandono sulla battigia,
i passi allontanarsi distinti.
Andrò via come fanno loro,
andrò a sedermi dalla parte
sbagliata, via, contro la meta.
Pregherò sul pavimento
disadorno, dal buco tirerò
fuori i mostri, e voi direte
sono tuoi. No, sono nostri,
solo che io li ho incarnati,
sono tutti i nostri peccati.
Lascerò che il tuo volto
non mi tocchi, lascerò
ora la partita a scacchi.
Vivo soltanto per dissolvere.
Solve et coaugula, per tutta
la vita sono stata nel mezzo,

nella cantina dell’indistinto.
L’umidità della pelle guasta,
cadeva la goccia dal soffitto
della mia straboccante doppiezza,
veniva a farmi visita sotto forma
di maniglia, ogni volta mi chiedeva
di aprirla. Tra le porte otto figure
senza volto né forma. Siamo
nati nel segno di niente, siamo
il resto della vita, senza suono
e colore, senza sesso né nome,
vieni a portarci notizie del tuono.

*

Consumata, contrita, l’ossatura che lasciava
l’occhio scoperto, una crisi nervina 
che bucava la pelle. 
Cadeva la goccia sulla pietra, 
scarnificava la grotta che faceva massa, 
una carie che si espandeva bruciando il tessuto, 
la lacrima che acida scioglieva le ciglia. 
Lascerò che il velo trapassi la nebbia, 
scomparirò anch’io dietro l’anfratto, 
buttando fiele amaro sulla tua bocca, rossa e assassina. 
Sarò fantasma che s’insinua come nuvola 
tra la ruggine e la pioggia, 
bagnando la guancia di sale e di sangue. 
Le braccia prolungamento ramifico di vene scolorite, 
la culla che ha spezzato il cordone animalesco, 
ventre che non contiene più vita, 
ma dissolvenza e solitudine. 
Si stringe la spalla, si stringe la mano che spezza 
il tendine che scottava. 
Darò fuoco alle carte sul comodino, farò sparire il tuo nome sulla porta, 

e ci metterò il mio. 
La spezia che adesso respira è una sola 
e profuma di cannella, 
lo stesso profumo tuo che s’annidava tra i capelli. 
Adesso io ballo sola, e graffio le pareti di queste mura – 
sarà il tempo a cesellare la montagna che ho creato, 
gettando scorie di granchi affamati che mi hanno strofinato la pelle. 
Il fiore rosso è stato violato;
 3 anni e il dolore stremato.

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