Luca Ariano | Poesie

Foto di Nicola Barbato

a cura di

Nicola Barbato

a cura di Nicola Barbato                        fotografia di Dino Ignani


          “Il mandato dell’uomo forse non è
più sulla terra.”

                                                                    Nelo Risi

Ma vedesti mai un mare limpido?
A memoria d’uomo non ricordi
e forse davvero l’ultima volta fu
quando videro all’orizzonte
le galee veneziane alla conquista
del Mare Nostrum o poco dopo
che gli Austriaci si ritirarono.
Quel temporale alimenta paure
e l’odore di alcove stagnanti
impregna l’alba
– bambino rivedi alghe e mucillaggine – 
e i canali restituiscono carcasse
di anguille e triglie.
Ancora consumeranno amori fugaci,
magari dopo una partita in spiaggia
e il tuo tempo di attendere l’aurora
è forse terminato in una notte.
Quando ancora stringerai le sue braccia?
Sarà come una preghiera, la stessa
di Ambrogio per i peccati di Teodosio:
mai varcò la soglia della cattedrale
con le mani lorde di sangue
e troppi baci di meretrici nell’ombra.

*

Si muore anche d’estate,
a Luglio quando festeggi
o fingi di farlo per abitudine,
e tu perso i tuoi cari nel caldo
lo sai bene.
Basta un colpo al petto,
sotto il sole, sudato, dopo una corsa;
mentre fingono che nulla muti
ardono boschi millenari,
per mano umana e non resiste l’alibi
di alisei, di fulmini improvvisi.
E si muore per un chicco di grandine
troppo grande, fora cristalli
e tronchi crollano su case leggere
per le muove stagioni.
Pianificato tutto da tempo
– alla vigilia del compleanno – 
l’ultima suonata come quelle sere
quando il mondo pareva in mano,
la gioventù ai piedi.
Di quel cane sparite le orme,
il corpo in auto e un trafiletto discreto
perché qualcuno ancora non perdona.

*

“e sento nel cuore una voce lontana”
Dina Ferri

Trent’anni sono una generazione,
– ancora le cabine a gettoni – 
e tu chiamavi Paola per un pomeriggio
doposcuola, nelle piaghe adolescenti.
Il solco già tracciato:
avresti proseguito con principesse
di cartone chiuse nell’armadio
come in un sogno di bambino.
Saranno state le storie o i fumetti
ma ancora appaiono di notte:
non si danno pace, ti ammoniscono
e quella casa a lutto d’estate
ora ha altre vite e retaggi.
Cosa è stato di quei sacrifici?
Parche cene e doppi lavori
ma tutto esaurito in un respiro,
come una preghiera inascoltata.
Ogni mese il più caldo del secolo,
l’autunno del Medioevo una statistica
per storici e attendi il suo corpo ambrato
di mare per rivivere la vostra stagione.
Non durò a lungo quella di Dina Ferri
 – spenta nel letto 185 –
con quaderni di appunti da finire
e pagine che nessuno rileggerà.

*

“Nüm ciàmum natüra quèl che sèmm, vedèmm
e tùccum, vìvum, màgnum… forsi pénsum…”

Franco Loi

Ti sorprende sempre il repentino sbalzo,
con uno starnuto, il naso chiuso
eppure da anni così.
A te piace pensare che esistano le stagioni,
quelle fine estati quando attendevi funghi
alle prime piogge e la scuola un ritorno
agrodolce come le maniche lunghe la sera.
La vedi la tua Lomellina scaravoltata da tornadi
e quegli ippocastani lì da prima di Napoleone
spezzati dal vento e raffiche su vetri.
Rivedi lo stupore di quel pomeriggio
in Viale Misurata, il primo poeta vivente
e le storie di Milano dopo la guerra,
i giochi in Via Teodosio e versi
che ancora rileggi alle prime ombre.
Sant’Eustorgio lì e di Maifreda
perse le tracce nei secoli:
arsa per il sacrilegio di uomini,
per decenni la videro in piazza Vetra
gridare e pregare, come quando attendi
la vostra domenica e il pensiero di altre vite. 

*

Mai ti abituerai all’Ottobre africano
e sai già che sarà così anche Novembre
(caldarroste in maniche corte)
e forse anche Dicembre tiepido,
Natale solo la data di una festa pagana.
Ti fai sempre irretire dall’umido mattino,
cenni di foschia notturna
ma come sempre fingi nulla sia accaduto;
come quando chiedevano: «Come sta tuo padre?»
«Da un po’ non lo vedo in Piazza!»
Risposte di circostanza: «Sai è pigro…»
Sapevi non sarebbe più uscito
e tu oggi a fermare il tempo
pensando ci siano ancora il sabato sera.
Baci impressi sulla pelle,
la vostra medicina mentre fingi siano solo visite
e sai che ti porti malattie di avi,
forse mai curate quando si moriva a trent’anni,
vecchi a quaranta e l’orizzonte
una cascina e le sue fole.
Non vi è più traccia in Via Conte Rosso
della Casa del Popolo: lì trovavi sempre
quelli della Volante Rossa «Gherà da fa’ polìzia

*

Tempo di bilanci,
come ogni fine stagione
o forse il tempo non scandito
come stagioni senza controllo.
San Martino non sarà estate
di traslochi e i tini non ribolliranno
come in quella poesia scolastica
letta poco prima di dormire.
Ricrei l’odore di brodo,
appanna finestre, confuso con la nebbia:
non sapevi che non avresti più saggiato
galline allevate da tua nonna,
funghi appena colti.
Per te bambino i mesi infiniti
e le loro vite eterne, come un film
da dopoguerra scarpe da risuolare.
Roma non sarà un viaggio di nozze
da poche lire e un futuro da scrivere:
le strade ancora non allagate,
lupi alle porte della città
ma far l’amore nella penombra
sarà sempre il loro pensiero di festa.

*

Eccolo il Solstizio d’Inverno
con il vento di Scirocco,
alta pressione e il freddo Natale
di neve una cartolina o un film
del secolo scorso, 
favola di buoni sentimenti da boom.
C’erano guerre e battaglie
in quelle stagioni dell’età di mezzo:
monasteri e conventi ultimi baluardi
e Francesco lì come un bambino
a creare il suo Presepe, il Vangelo
negli occhi e un sogno gelato
come campi brinati di carestia.
Lo stesso entusiasmo di tuo padre
quando si avvicinava la notte
e credeva al vostro futuro
come una stella per i Magi.
Stai solo anticipando il destino
di feste chiuso in casa tra tramonti
che paiono primavere mentre si spopolano
borghi di appennini: qualcuno ricorda
ombre di briganti ma forse un trucco
per gli ultimi turisti della stagione.

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