Inverso – Giornale di poesia

Spostamenti #7 | Ida Travi

cura e introduzione di Giovanna Frene
da Muscèt parla col cane (Edizioni Volatili, 2022)
illustrazioni di Giuditta Chiaraluce
fotografia di Dino Ignani
n.d.r. Per restituire, ai lettori, l’impaginazione originale, le poesie riportate nell’articolo sono state inserite come immagini


SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole


Questo piccolo grande libro di Ida Travi, Muscèt parla col cane, chiude la serie dei Tolki, i parlanti, una saga poetica, unica nel suo genere in Italia, che corre lungo sette libri usciti a partire dal 2011, e che qui, vista l’importanza di questa pubblicazione di suggello, vale la pena di enumerare: dal 2011 al 2013 escono, rispettivamente, Ta’ poesia dello spiraglio e della neve, Il mio nome è Inna e Katrin Saluti dalla casa di nessuno, tutti e tre editi da Moretti&Vitali; una pausa di quattro anni saluta l’uscita, sempre per Moretti&Vitali, prima di Dora Pal, la terra, nel 2017, e poi di Tasàr, animale sotto la neve, nel 2018; per le Edizioni Volatili curate da Giorgiomaria Cornelio e arricchite dalle partiture visive di Giuditta Chiaraluce escono due Cervi Volanti, il n. 10 della prima serie, Marie canta la famiglia del secolo, e il n. 6 della Seconda Serie, appunto Muscèt parla col cane, che, come recita il motto in esergo (questo è il libro che s’era perduto), in realtà sarebbe il sesto libro della serie.

   Vale la pena, per i pochi che non lo sapessero, riascoltare le parole che Ida Travi ha recentemente formulato per spiegare questo suo importante e innovativo progetto poetico: “La parola Tolki nasce dallo slittamento sonoro del verbo inglese to talk. Rimanda all’esistenza di strani esseri umani poeticamente intesi come i parlanti. Come scrissi ben dieci anni fa nella nota introduttiva al primo libro della serie, Tà poesia dello spiraglio e della neve, o Tolki parlano ‘una lingua ridotta all’osso’. Olin, Attè, Inna, Antòn, Katrin, Usov… Si vedono andare e venire solo per un attimo, inquadrati a strisce dietro lo spiraglio. Questa gente resta un mistero: mentre nascevano sulla pagina, io guardavo loro e loro mi mostravano l’occhio, come se aspettassero la parola che risveglia, lo scatto. L’anno dopo, nel 2012, con Il mio nome è Inna, quegli strani esseri erano ancora lì, non volevano saperne di andarsene. Erano ancora loro, eppure trasfigurati, a volte cangianti nel nome. Ancora adesso, a distanza di sette libri, quegli esseri vanno da un libro all’altro, da un luogo all’altro e non sono separabili dallo sfondo su cui si muovono. Sono indifferenti al tempo, al secolo, eppure non sembrano eterni. È stato per non chiudere la scrittura su di loro che ho fatto entrare il concetto di serie in poesia. Era una cosa molto strana dieci anni fa, non c’era niente di simile in giro, ma andava bene per me. Guarda l’arte, mi dicevo. Guarda la musica. Guarda i mesi, i giorni, le settimane… E poi, che dire? Il mio lavoro poetico si lega fortemente all’oralità, e l’oralità si lega all’epica, segue una logica paratattica, e/e, non aut/aut. La forma orale si adatta, entra in ogni epoca, anche in questa epoca. […] Il tempo dei Tolki è un tempo sfuggente e il concetto di serie lo trattiene, lo redime. È un tempo ritmico, o anche aritmico, non importa, forse inquietante ma in sé non spaventoso. Lavorare a una serie vuol dire sicuramente tenere il tempo, è un lavoro che tiene aperto, non conclude.” (Dall’intervista rilasciata a Ivana Margarese il 28 novembre 2020, in ‘Morel. Voci dall’isola’).

   Come in altri testi precedenti, anche in Muscèt il personaggio della protagonista rimanda al mondo del cinema: nello specifico si tratta di un film del 1967 di Robert Bresson, Mouchette, tutta la vita in una notte, ma Mouchette è un personaggio a sua volta presente in due romanzi di George Bernanos, Sous le soleil de Satan (1926) e Nouvelle histoire de Mouchette (1937). Vale la pena ricordare della trama del film che la protagonista subisce una violenza sessuale e che uscirà di scena in maniera tragica; questo è l’accordo in minore che serve come sostrato per la comprensione del libro, perché qui invece la figura di Muscèt, linguisticamente modificata essendo una Tolki, non coincide con la Muochette della pellicola, ma ne è piuttosto un’antenata o una discendente (“Ora Muscèt è l’eterna pronipote temporale, la ragazza persa nella nuvola”), in ogni caso una figura che ha subito una trasfigurazione. L’atmosfera insieme rarefatta e realistica del luogo a cui rimanda l’incipit in prosa del libro – un padiglione fortemente illuminato ma quasi spoglio formato da una lastra grigia, nel quale si entra alzando una saracinesca, e dove vivono Muscèt, il suo cane Rot e il bambino, con un cavallo bianco e uno nero legati al palo – viene piegata come un origami temporale, cosicché gli accadimenti narrati, spesso violenti ed espressionistici come i suoni che vi risuonano (quello cioè che verrà raccontato poi nelle poesie dalla voce), fanno capire che si tratta del libro perduto perché perduto è ormai il tempo dei Tolki: “Voi che leggete dovete saperlo: quando c’erano i Tolki l’epoca era suprema. Muscèt era libera, il cane era libero e il bambino tirava il suo carretto. C’era la colonnina elettrica, l’indicatore di futuro virava verso il blu. (…) E adesso?… Secondo te cosa cercano nel libro, Rot? Secondo te sanno leggere? Dicono d’essere di origine umana, planetaria… Ma se sono umani, perché non hanno trovato niente? Tu che leggi fatti una domanda, una domanda qualsiasi, fatti una domanda di storia, e vedrai che non sai rispondere. Tu che leggi prova a dire in che epoca vivi, e vedrai che non sai rispondere, sei sempre distratto, sei il solito incapace”.

   Dentro le continue pieghe dei diversi piani temporali e metatemporali – pieghe che si sfanno e si sovrappongono, e dove chi narra è anche narrato, e chi legge è anche letto –, corre veloce e tesse i destini la spoletta con il filo rosso della violenza, una violenza insieme reale ed emblematica, rumorosa e insieme silente come la neve; i presagi e i fatti che la voce snocciola nel ricordo e nel presente, non riuscendo come a svegliarsi per cambiare il destino di morte che accomuna tutte le creature, si realizzano come in un’atmosfera di sogno, quasi di fiaba nera, dove il tempo in fin dei conti tace. Il paradosso è anche nel fatto che tutto sembra normale anche quando è palesemente illogico, e tutto sembra anormale anche se la vernice che ricopre la realtà è solida. Viene in mente perciò un film come Il nastro bianco di Michael Haneke: anche lì, come in questo libro, lo scenario emblematico fa intuire la vera realtà in maniera subliminare, e questa, appunto, è la capacità della grande poesia: far vedere tutto senza mostrare niente.


*

*


SPOSTAMENTI
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole

Questa rubrica di poesie, Spostamenti, nasce dalla necessità prima di tutto di dare voce al testo poetico mediante un commento, inteso questo come pratica di lettura e rilettura lenta, necessarie per cogliere quei meccanismi del testo che spesso la lettura veloce che il web suggerisce occulta. Per certi versi, la pratica del commento tanto somiglia a quella che, nell’ornatus, è la caratteristica dei tropi: si tratta di compiere uno spostamento, una sostituzione, un cambiamento di direzione che investe un elemento originario, e che nel nuovo elemento che sorge altrove rivive in una veste traslata. La pratica del commento, infine, richiede un servizio umile e gratuito al testo poetico.

La rubrica avrà inoltre uno spazio dedicato alle “parole sulle poesie”, ossia alla recensione e/o segnalazione di libri di poesia, ma anche a testi che verranno ritenuti utili per quel che concerne la dimensione del fare poetico. In quanto a ciò che viene designato con “parole sulle parole”, si intende dare spazio all’ambito saggistico, ma anche a interventi di poetica e a interviste, con apertura a tutti coloro che desiderino dare il loro contributo.

Exit mobile version