Massimiliano Bardotti | La disciplina della nebbia

a cura di Lorenzo Pataro
da La disciplina della nebbia (Pequod, 2022)


Bisogna proprio aver cura degli esseri nascosti,
di chi svanisce, evapora, di chi chiude gli occhi
per non essere visto, di chi si acquatta, si inginocchia
di chi scivola via per non dare fastidio.
Di chi mai celebra se stesso anzi dimentica
la propria posizione, il proprio centro.
Di chi abbassa gli occhi, la testa.
Di chi la bastonata aspetta mansueto, e guaisce.
Di chi per nulla al mondo mai, reagisce.

Ci vuole, è necessario, il quotidiano
pensiero per i morti che nessuno pensa mai.
Per i dimenticati di ogni terra e tempo.
Bisogna prendere un libro di poesie
proprio di quelli meravigliosi
e ogni giorno cantare una poesia
per tutti quelli per i quali nessuno canta mai.
Per gli scomparsi, gli sbiaditi
per quelli troppo seri che hanno riso poco
per i disperati assottigliati in fondo a qualche letto
per chi famiglia ha fatto con le pulci,
e per le pulci stesse, anche per quelle.

Chi sa pregare preghi, c’è bisogno d’ogni voce.
Si accendano ceri per i mai accaduti.
Per gli sconosciuti misteriosi.
Senza perdere più nemmeno un minuto
si amino tutti gli invisibili, come se l’occhio li vedesse.
Si ami chi non c’è mai stato, chi era qui un attimo fa
e ora è dileguato. Si ami il nemico, l’inatteso, l’imbranato,
il maldestro, il disastroso, lo scontroso, l’impacciato.
Chi proprio sa che non ci sa fare, chi da nessuno è stato amato mai.
Ora. Sempre. Si ami l’inamato, l’eterno inavverato.

*

Bisogna essere prossimi alla terra
avere già nel corpo l’ambizione della fossa.
Sentire nella carne l’appassire delle ore.
E come si fa urgente fare il bene
praticare la salvezza.

Avere già negli occhi un po’ di quello che vedremo
quando gli occhi chiuderemo a questa luce.

Bisogna poi saperlo un po’ di cielo
averlo imparato dall’allodola e dal gufo.
Seguire come cambia la stagione
intuirne nei colori le promesse.

E poi bisogna andare
quando è ora essere pronti.
Allora sarà chiaro finalmente
che avevamo fatto tante prove
che in fondo vivere è coltivare
il seme eterno dell’attesa.

*

Un giorno, molto presto
rinverdiranno tutte le cime
(degli alberi, delle montagne)
le ali dei migratori, tese a intercettare il vento
voleranno lontane, in una differente stagione.

Allora sarà come rivedersi,
ci sarà ancora tempo per qualunque cosa
ma nessuno ne avrà voglia;
vorremo solo stare fermi e guardarci
scorrere i lineamenti, tacere
e poi stringerci, senza farci più male
stremati addormentarci
e aspettare, come dovesse fare giorno
da un momento all’altro.

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