cura e introduzione di Ilaria Palomba
Bordi
n° 4
Marco Vetrugno ha una scrittura di confine, tra poesia e teatro, ed è proprio lo sconfinamento a guidarlo. Il testo qui selezionato è tratto dal monologo poetico-teatrale Apologia di un perdente (Elliot, 2018). Si sente l’eco di voci novecentesche fondamentali in prosa e in poesia per intensità, livello di scavo psicologico, ritmica, cesura e scandaglio semantico, come Bernhard, Sebald, Cioran, Blanchot e Artaud. Tra nichilismo e misticismo ateo, una catabasi del protagonista, di nome Ezra – fa subito pensare a Ezra Pound – seguito in terza persona da una voce che è un’ombra, una presenza infera capace di rivelargli un’identità popolata di personaggi inquietanti, un io che si dissolve nella sua mostruosità, e nella resa che, sola, lo consegna all’estrema innocenza.
Ezra:
Stato di confusione
di elaborazione
Scrollarsi di dosso la paralisi
eludere l’intorpidimento
eludere me stesso
Questa angoscia
questa prostrazione
sono davvero invincibili?
Possibile che io non riesca più
a scalfirle?
A scalfire?
Eppure
eppure ricordo le corse da bambino
i tuffi
il fiato trattenuto
il silenzio
Quel silenzio assoluto
quella protezione
e poi
poi velocemente la risalita in superficie
il respiro a pieni polmoni
riscoprirsi vivo
ri/sco/prir/si
E non le dimentico
non le dimentico le notti
rintanati nei nostri abbracci ermetici
le nostre passeggiate
nelle sale di questo museo
quando ancora tutto risplendeva
ci attraeva
Il piacere dell’osservazione
lo sconvolgimento
Invece ora
ora l’angoscia ha precluso
si è liberata
Ha proclamato la sua sentenza ineludibile
I/ne/lu/di/bi/le
Questo continuo senso d’irritazione:
ineludibile
Il sussurro del panico:
ineludibile
Questa attesa incessante:
ineludibile
Questo strazio
questo bisogno
sì, ormai è un bisogno
un desiderio che conduce alla miseria
all’indigenza dell’animo
al decadimento
al pertubamento
Riscoprendomi disadorno
privo
privato di tutta la mia poesia
di tutta la mia arte
di tutto me stesso
L’esplorazione è orfana di scoperte
la gravità che mi tratteneva
irrimediabilmente indebolita
la vista degli uomini
del prossimo
de/pri/men/te
Ezra
che tu sia maledetto
hai rovinato tutto
Urlando:
Tutto!
Hai reso inabitabile la fantasia
hai inaridito il talento
il tuo
Tutto ciò che ti rendeva diverso
è perso
Bruciato
I tuoi cento occhi si sono oscurati
spenti
e ora
ora vaghi solo nell’oblio
nella moltitudine sempiterna
nella ripetizione immutabile
Questa attesa Ezra
questa attesa è stata il tuo inferno
la tua colpa
la tua condanna
Hai pagato per la tua natura Ezra
per la tua innocenza
la tua maledetta innocenza
Hai avuto paura Ezra
paura della morte
paura della tua stessa liberazione
di essere liberato
libero
finalmente libero
Sei un vile Ezra
un vile
e questa angoscia
questa angoscia che avverti
è il macabro premio
per essere sopravvissuto
è la tua condanna
è la forza che ti ha reso implacabile
indomito
Non ti puoi più fermare Ezra
sei in caduta
caduto
Discendi a testa in giù
ascendi nel rogo
nelle fiamme
Sei perso Ezra
e il disordine
l’assurdità
il caos
non avranno mai fine
mai
Svegliati Ezra, anzi addormentati, chiudi gli occhi, chiudi.
Una cella frigorifera, una cella bianca, non ti ha rallentato, non ti ha avuto completamente.
Svegliati Ezra, ritorna. È un attimo Ezra, tutto è in un attimo, tutto.