Antonella Palermo | Il giunco e la statua

a cura di

Giovanna Frene

1–2 minuti

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a cura di Giovanna Frene
cinque poesie da Il giunco e la statua (Vydia,  2024)                                                               Fotografia di Lello Muzio


Spostamenti #126
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole


Con carri armati infangati 
invadi la cucina
pestando i coriandoli
del compleanno di Gill 

in fughe sporche s’insaccano 

poi dritti al macero 
capovolti da uno straccio. 

Qualcuno vola. 

*

Abbiamo messo il tavolo al centro
e ci siamo finiti sotto.
Le parole esposte all’intralcio delle sedie. 

Ci si sbranava per minuzie 

qui ora si gioca al minimo, 
le voci attutite,
sentire il vuoto sotto 
anche se poggiamo i piedi. 

*

Rimase il piatto e il severo biancore 
di un fondo che arriva
come porta di una camera chiusa
             – è chiusa –
la diga che ferma le acque
e l’acqua bevuta che bevi e ti lava 
lava la porta 

piatto pulito
che porta una faccia 
una faccia persa, di cera. 

*

Le infermiere coprivano e ricoprivano 
e in mezzo a quei gesti tutta la forza 
per farti respirare meglio 

l’avevi usata per spostare zolle 
costruire il pozzo, tirar su gli ulivi. 
Teli stesi con le patate ad asciugare
a proteggere gli alberi dalla grandine. 

Svelamento e ammanto: 
così si spiega la vita. 

*

Le cuspidi sono velate 
la terra è confusa. 

Si procede per codici persi 
               – la nebbia –

rigonfia gli ossari
satura le stanze, 
alimenta vite parallele. 
Posso rigare dritto, con voracità, 
o ricominciare a dubitare. 

Togliere la cima alla montagna 
è mozzare i preconcetti 
lasciare i corpi vagare di petto 
               – che giochino come fanno i cani – 
urtarsi di spalle richiamando distanze
e accelerate brusche, naso contro naso. 

Fidarsi di un pilastro monco
che sente i bassifondi e muove le pietà 
è lavare la lingua
perché morda di nuovo. 


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