a cura di Giovanna Frene
cinque poesie da Il giunco e la statua (Vydia, 2024) Fotografia di Lello Muzio
Spostamenti #126
Rubrica di poesie, parole sulle poesie e parole sulle parole
Con carri armati infangati
invadi la cucina
pestando i coriandoli
del compleanno di Gill
in fughe sporche s’insaccano
poi dritti al macero
capovolti da uno straccio.
Qualcuno vola.
*
Abbiamo messo il tavolo al centro
e ci siamo finiti sotto.
Le parole esposte all’intralcio delle sedie.
Ci si sbranava per minuzie
qui ora si gioca al minimo,
le voci attutite,
sentire il vuoto sotto
anche se poggiamo i piedi.
*
Rimase il piatto e il severo biancore
di un fondo che arriva
come porta di una camera chiusa
– è chiusa –
la diga che ferma le acque
e l’acqua bevuta che bevi e ti lava
lava la porta
piatto pulito
che porta una faccia
una faccia persa, di cera.
*
Le infermiere coprivano e ricoprivano
e in mezzo a quei gesti tutta la forza
per farti respirare meglio
l’avevi usata per spostare zolle
costruire il pozzo, tirar su gli ulivi.
Teli stesi con le patate ad asciugare
a proteggere gli alberi dalla grandine.
Svelamento e ammanto:
così si spiega la vita.
*
Le cuspidi sono velate
la terra è confusa.
Si procede per codici persi
– la nebbia –
rigonfia gli ossari
satura le stanze,
alimenta vite parallele.
Posso rigare dritto, con voracità,
o ricominciare a dubitare.
Togliere la cima alla montagna
è mozzare i preconcetti
lasciare i corpi vagare di petto
– che giochino come fanno i cani –
urtarsi di spalle richiamando distanze
e accelerate brusche, naso contro naso.
Fidarsi di un pilastro monco
che sente i bassifondi e muove le pietà
è lavare la lingua
perché morda di nuovo.









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