cura e introduzione di Ilaria Palomba
da Stagioni scalene (Ensemble, 2021)
nota di Antonella Sarti Evans
Stagioni scalene, queste nuove poesie di Edoardo Olmi, simili e al tempo stesso diverse dalle precedenti, ci investono e avviluppano proprio come le stagioni. Stagioni intese in ogni loro possibile accezione (come stagioni dell’anno solare, ma anche come stagioni della vita, ovvero come stagioni di ricerca poetica, esistenziale, mentale, politica, emotiva e sessuale), all’interno del libro e delle sue sezioni le stagioni sono infatti volutamente al plurale (“Primavere”, “Estati”, “Autunni”, “Inverni”) e volutamente “scalene”: irregolari e imperfette, pur sincroniche.
Antonella Sarti Evans
Con una spiccata valenza politica, la poesia di Olmi, pur usando gli stilemi del lessico contemporaneo, social e giornalistico, raggiunge un lirismo pienamente compiuto proprio nella commistione dei linguaggi. Sarcastica e feroce, pienamente ribelle, raggiunge il suo massimo nel descrivere i paesaggi di Roma e Firenze. Competenza e cultura indagano la realtà con uno sguardo radicale, mediante un verseggiare metricamente compiuto.
Ilaria Palomba
da Roma nasona
anche Trastevere ha il suo coprifuoco
nei caffè che sono lucciole in dismissione
e crisi epilettiche a piazza Trilussa.
i mendicanti restano aperti fino a tarda sera
con le insegne luminose delle litanie,
litigandosi le fontanelle assieme al vento.
nei Bar Addis Abeba
il Grande Fratello in seconda serata,
Japan Ice Tea o Sex on the via Dandolo –
e sante visioni
sulla sponda opposta del Tevere.
gli sguardi cadono sui profili ostiensi
passi che assomigliano
ad amici irredenti.
*
Atena al Vittoriano
è un’Amazzone rivestita,
ancheggia pestandosi i piedi
davanti ad un falò
→ le frecce a destra in ambito Venezia
i vetri rotti in ambito Tricolore ←
sette criniere ammaestrate
nella divisione ferina dei poteri;
mentre le fonti della resilienza tacciono
essiccate nella calca a piazza Esedra.
lungo via Principe Amedeo
la numerazione si intervalla
a quella di piazza Manfredo Fanti –
come il corso della Storia si interrompe e poi riparte
confonde passi ed unità di misura.
turisti appoggiati ai tavoli di via Cavour
assaggiano spaghetti al monossido di carbonio;
Corso, Hemingway, Ferlinghetti, Al Nassar
passavano giornate intere in uno stesso bar
non hanno scritto niente
rimanendo seduti.
le prove libere del Gran Premio del rione Monti
fanno i pit stop in piazza dell’Esquilino
con i respiri calati a mezz’asta.
su Bella ciao cantata in curdo verso i Fori Imperiali
il Colosseo tagliato a tranci da via del Cardello
un tour di largo Ricci per Holy mountains
– e processioni dietro ai camioncini degli spazi sociali
con sopra i dischi dei Fugazi restaurati.
poi meeting di Anonymous
nei cavi delle antenne radio a San Lorenzo
– i cortili allucchettati delle scuole
dove nascevano cortei antirazzisti nazionali
o i tetti delle capannucce
in faccia a San Giovanni in Laterano;
(al vespro di un albume
sopito nel Verano) –
dopo le prime piogge su largo degli Osci
solo gitani a rovistare fra i sacchetti ed i cartoni,
ma gli spaccini hanno lo sguardo che fa capolino
tra le serrande abbandonate del mercato.
I
espresso con pelliccia e tacchi alti
ai loggiati di Torre Argentina
mentre fischiano le orecchie lungo via del Corso
fino al Pantheon di Agrippa con le spoglie del re seppellitore.
sotto le cantine di via del Governo Vecchio
chicani con i blues della guerriglia nuova; o danze di strada
per militari a rinfrescarsi alla fontana dei Quattro Fiumi –
nella Babele coi sottotitoli in inglese
del cinema muto che è piazza Navona.
capisci che è iniziato il nord
dove il coperto costa più di un maritozzo al cioccolato
e Masaniello si è fermato al portico delle Cinque Lune
coi bicchieri offerti fra i segreti sussurrati in un caffè macchiato.
primavera
spostare il baricentro del cosmo
dietro i fiori di loto del pensiero
ad ogni flessione del ventre –
aggrappati al nostro io.
da Amore epilessi. Canti elbani
a Chiessi il pesce arrivava la mattina dal mare
dopo i tramonti della Costa del Sole,
dove si fa l’amore a strapiombo sul Tirreno
scansando le cadute di massi dal Capanne.
giochi a gara di pesca con i cormorani
mentre il libeccio ne frantuma l’eco sugli scogli
e capisci perché la Corsica non si vede mai
dalle rive francesi
– sentieri arrampicati sui vitigni
che sanno di oleandro e di ginepro
fra i fichi d’india sparsi nei terrazzamenti
che salgono sui ruderi di San Bartolomeo –
ma una volta che accetti la sfida
sei solo tu, davanti l’orizzonte
dalla cresta delle montagne
anche i giganti se ne sono innamorati
e passano le epoche perduti negli abissi
con la tristezza
poggiata su un fianco.
Roma
l’impoetica del vostro tabacco
dal finestrino della fragilità;
falene palpitano
a fuochi in prospettiva.
rovistando nella monnezza
a Termini inciampa pure il gabbiano
e fa le ali grosse;
i bidoni ormai
hanno il saluto militare –
onanismo ontologico
della politica.
camminare viene prima
di un consiglio di lettura;
una quinta in Casilina, due sessioni open mic
ed un bacio
alla ragazza più bella.
contro una sinistra da social network
ridi, che ti passano anche i TIR;
la democrazia vi ruba i sentimenti –
settembre non è
un cimitero per zanzare.
ripassata la poetica
del nostro passeggiare,
le acque ci parlano
lungo i passi di una donna nel vuoto
sparando odio col silenziatore;
amate così la vostra rabbia
come un seno da scoprire
in mezzo al buio.
contro un sole incipriato
di Dio non si può dire molto –
ardito il deodorante
in fondo al cesso, dentro al treno.
centrista quanto un bicchiere d’acqua
di fronte a te non ho altre scuse;
hai amato più in inverno che in estate
nostra signora
della metropolitana.
21 dicembre
mani di querce screpolate
per il brindisi dei saldi autunnali;
in alto il calice delle bianche stagioni
ognuna vi racconta la sua.
faggi scompigliano al vento
quel tanto di calvizia rimasta alla terra –
galleggia sopra un rivo
alto quanto una bottiglia,
fra le sponde
della gentrificazione.
Natale accende foglie artificiali degli abeti,
le spegne a intermittenza sui rami alla radura;
è la prova del nudo di un dio suprematista
all’accademia di nature morte nella vanità –
il salice si inchina a una Canossa dei 12 mesi
nel solfeggio ansimante
di un’Anima mundi.
aspetta che la neve
cada sui rimorsi
e goditi il freddo
come timidezza –
febbraio ti dirà
se è sopravvissuta.
storni dilatano e contraggono
al fuoco d’artificio del solstizio invernale
potenza cromatica, fame sincronica
– la Sieve già sazia scruta assonnata
(però che ci facciamo
di fronte al suo magenta;
i colori della civiltà
vi si sgretolano contro).
ben più poesia che in una Freccia tricolore
per questo il comune li ha resi illegali,
del sogno ha poi fatto una miriade di termiti
nel buio accecante della tangenziale.